L'Editoriale
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Pasqua e guerra

Noi che stiamo sperimentando in questi giorni la drammaticità e le nefandezze della guerra, abbiamo la responsabilità, come gridava Giovanni Paolo II, di dire al mondo: mai più la guerra!
Celebrare la Pasqua significa credere che non c’è solo la morte, il dolore, le uccisioni e le barbarie. In Gesù, Dio condivide il nostro dolore e ci dona lo Spirito Santo che ci rimette in cammino, donandoci la forza per andare avanti e per seminare nel mondo il perdono e l’amore. Solo così potremo sconfiggere il male e la guerra.

Pasqua e guerra

Ll Vangelo ci racconta che alcune donne, quanto era ancora buio, si recarono al sepolcro. Era un buio non solo esteriore ma anche interiore, nel loro cuore, perché Gesù era stato ucciso. Appena giunte al sepolcro trovarono la pietra posta all’ingresso rovesciata e sentirono una voce che diceva: Gesù non è qui, è risorto! Anche noi stiamo vivendo giornate buie e dolorose. Sembra che le lancette del tempo siano tornate indietro: siamo colpiti da un virus che nonostante la scienza, non è ancora sconfitto e la guerra, sempre presente nel mondo in paesi lontani, ora si combatte vicino, nella nostra Europa. Una guerra che fa vedere il peggio della natura umana, con bombardamenti che distruggono interi centri abitati e soldati che indiscriminatamente uccidono e torturano civili inermi. Viene spontaneo domandarci: c’è speranza per il nostro mondo? L’umanità è così cattiva da non meritare di vivere? Che senso ha la guerra? Che senso ha ucciderci tra fratelli? Possiamo vivere la Pasqua? L’’umanità violenta di questi giorni, che ci viene narrata dai numerosi giornalisti che sono sui luoghi della guerra - che ringraziamo per il loro servizio alla verità - ha il peso e il significato di quel macigno rotolato davanti all’ingresso della tomba di Gesù, indicando che tutto è finito, che la speranza è morta definitivamente. Potrebbe essere così anche la Pasqua di tanti nostri fratelli e sorelle che stanno vivendo sulla loro pelle le conseguenze della guerra, immersi in un baratro senza senso, carichi di dolore e di sofferenza. Ecco perché è importante sentir ripetere anche oggi: "Non è qui. È risorto". Per Gesù, la morte non è stata l’ultima parola e non lo è nemmeno per noi. Con la Risurrezione, Gesù dona anche a noi la speranza di una vita che può essere vissuta bene e che può continuare perché destinata al cielo e non alla terra. Quel macigno, quella pietra è stata rovesciata e spezzata dalla mano forte e amorosa di Dio. C’è una forza più grande del male: la forza dell’amore di Dio che vince la sofferenza e la morte. Questa è la speranza! Noi che stiamo sperimentando in questi giorni la drammaticità e le nefandezze della guerra, abbiamo la responsabilità, come gridava Giovanni Paolo II, di dire al mondo: mai più la guerra!
Celebrare la Pasqua significa credere che non c’è solo la morte, il dolore, le uccisioni e le barbarie. In Gesù, Dio condivide il nostro dolore e ci dona lo Spirito Santo che ci rimette in cammino, donandoci la forza per andare avanti e per seminare nel mondo il perdono e l’amore. Solo così potremo sconfiggere il male e la guerra.
Segno di speranza è credere che le cose possono cambiare, se noi ci adoperiamo un po’ a trasformare il nostro cuore.
Segno di speranza è credere che non sarà la tristezza ad avere la meglio su di noi, ma la gioia e la pace.
Segni di speranza sono i tanti gesti di accoglienza e di squisito amore verso le migliaia di profughi ucraini che fuggiti dai loro paesi vengono accolti con generosità nelle nostre comunità e nelle nostre case, senza dimenticare, però, che dobbiamo essere aperti all’accoglienza anche dei tanti altri profughi, che soprattutto dalla rotta balcanica, entrano nelle nostre terre.
Segno di speranza sarà accogliere con umiltà e con gioia il Signore che ci prende per mano e ci invita a vivere con serenità questi giorni, confidando nel suo amore.
Buona Pasqua a tutte e a tutti.

Immagine: 

La splendida resurrezione di prima pagina è opera di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1453 circa – 1523). Di cultura foppesca, anche se di modi più delicati, riprese dalla cultura fiamminga sia gli stilemi iconografici che l’uso della luce. Alla fine degli anni Ottanta venne influenzato dall’opera di Leonardo e ancor più di Bramante.
L’opera riprodotta è il Cristo si erge dalla tomba, 1490 circa, un olio su tavola (114,5x61,2 cm) conservato alla National Gallery of Art di Washington (uso di pubblico dominio).

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