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Il bibionese olimpico Antonio Fantin si racconta in un libro: Punto. A capo

"Punto. A capo". E’ il titolo del libro che Antonio Fantin, bibionese classe 2001, pluricampione di nuoto, medaglia d’oro alle ultime paralimpiadi, ha presentato mercoledì sei luglio alla rassegna Cuori in Ascolto di Bibione, la sua "patria" in anteprima nazionale

Il bibionese olimpico Antonio Fantin si racconta in un libro: Punto. A capo

"Punto. A capo". E’ il titolo del libro che Antonio Fantin, bibionese classe 2001, pluricampione di nuoto, medaglia d’oro alle ultime paralimpiadi, ha presentato mercoledì sei luglio alla rassegna Cuori in Ascolto.
Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Dopo aver vinto la medaglia d’oro a Tokyo. Era l’ultimo trofeo che mi mancava. Quella vittoria mi ha dato l’opportunità di guardare la vita da una prospettiva per me nuova: davanti non avevo altri traguardi da raggiungere. Così mi sono guardato indietro.
Ho ripercorso la mia strada e ho avuto il desiderio di raccontarla. Magari qualcuno che stava attraversando un momento di difficoltà si sarebbe potuto immedesimare in quello che ho fatto io e poteva ricevere la spinta necessaria.
Guardando indietro cosa hai visto?
Ho apprezzato tante cose che fin lì avevo dato per scontate. Ho rivisto tutto il lavoro fatto per raggiungere i traguardi che mi prefiggevo. Puntavo a risultati sportivi, ma quello che cercavo davvero era riuscire a vivere la normalità.
Che cos’è per te la normalità?
Guardare alla vita senza filtri, che nel mio caso sono sia la disabilità che lo sport. Normalità è vivere con amici che guardano a te per chi sei davvero: semplicemente Antonio. Non quello che sta sulla carrozzina, ma neanche il campione sportivo.
Quanto conta l’amicizia nella tua vita?
Tantissimo, quanto la famiglia. La vita è bella. Offre tanto, ma per goderla appieno devi poter condividere la gioia con qualcuno. Vincere la medaglia d’oro a Tokyo è stato bellissimo, ma se tornando a casa non avessi avuto, tra famiglia e amici, qualcuno che partecipava alla mia felicità, sarebbe durata ben poco.
E la fede?
Per me è come l’amicizia. Rivolgermi a Dio per chiedere aiuto, anche prima di una gara, non è una mossa opportunistica, ma è proprio rivolgersi a un Amico nel momento in cui senti di averne bisogno. Saper di poter contare su qualcuno è la cosa più bella.
Nel nuoto hai vinto tutto, ma sei ancora molto giovane. Che obiettivi ti dai?
Punto alle Paralimpiadi di Parigi nel 2024. Prima ci saranno, nel 2023, i mondiali a Manchester. Vorrei affrontarli con maggiore consapevolezza, saprò godermeli meglio di quanto fatto finora. Ormai ho vinto. Non devo dimostrare nulla. Provare a rivincere sarà bello.
Quanto lo sport può aiutare un disabile a raggiungere la normalità?
Può aiutare tanto. Siamo cresciuti come cultura: fino a qualche tempo fa le Paralimpiadi erano semplicemente le olimpiadi dei disabili, oggi invece c’è un’attesa particolare. Si apprezza la performance andando oltre il buonismo. Prima si lodava l’impegno, ora c’è interesse per il risultato. L’atleta paralimpico che sbaglia delude e viene criticato. E’ giusto e bello che sia così. E’ normale.
Cosa consiglieresti a chi si trova in una simile alla tua?
Di provarci, non rassegnarsi. C’è una vita bella da vivere. Capita quel che capita. Ci si ferma ma poi si

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