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Un amico di carta

Il settimanale che racconta i fatti di casa nostra

Un amico di carta

L’avete notato anche voi? C’è di che preoccuparsi. Parlo della crisi dei giornali stampati. La gente ha smesso di leggerli. Al mattino non fa più la coda davanti le edicole leggendo le locandine, che annunciano qualche scoop dell’ultima ora. I trafiletti in prima pagina anticipavano le notizie riportate all’interno.
Ora le notizie le troviamo nel televideo e in internet. In tempo reale sappiamo le ultime di cronaca e di sport. Alcuni storici quotidiani hanno chiuso, altri sopravvivono con una tiratura ridimensionata. Il discorso si fa ancora più serio per i settimanali diocesani che, fino a una ventina di anni fa, entravano in molte case di abbonati che attualmente stanno scendendo a picco anche per ragioni anagrafiche. Lo zoccolo duro di lettori era composto da anziani che ora per lo più hanno problemi di vista o sono finiti in casa di riposo.
In pochi decenni quotidiani e settimanali sono cambiati. Hanno cambiato formato e impostazione. Sono quasi scomparse le terze pagine, lo spazio che ogni giornale riservava alla cultura e vedeva la partecipazione di scrittori e opinionisti di rilievo. Al loro posto ora ci sono pagine e pagine di economia, titoli che salgono, titoli che scendono, piazza affari, pil e spread. Per sapere come va il mondo e quale sarà la nostra sorte non interpelliamo più pensatori e filosofi, ma lo chiediamo a ragionieri e banchieri che, per il momento, vedono nero per chi cerca lavoro o vuol metter su famiglia.
Come racconteremo ai nostri nipoti riguardo a cosa sono stati per noi i giornali? Diremo che, quando eravamo giovani, c’era una fabbrica che ogni giorno produceva quotidiani. Gli operai scrivevano con le storiche olivetti. Lavoravano dal pomeriggio a notte fonda in attesa che le agenzie battessero le ultime notizie. A mezzanotte la redazione impaginava e mandava in stampa. All’alba dal giornalaio trovavi le notizie fresche di giornata.
I settimanali, invece, venivano impostati al lunedì quando il direttore predisponeva le cartelle per raccogliere articoli e foto. Al martedì pomeriggio si impaginava. Mercoledì mattina si andava in stampa e la sera in posta.
I nostri nipoti non sapranno più ciò che un tempo era il giornale stampato: un’impresa ricca di ingegni e di idee che faceva cadere i governi, promuoveva battaglie civili, difendeva valori, diritti e principi, dissentiva dai potenti, punzecchiava i palloni gonfiati.
Può darsi che un giorno racconteremo qualcosa di simile come ultimi di una rivoluzione di chi operava nel mondo dell’informazione in modo artigianale, come ad un telaio a mano.
Poi è arrivata la tecnologia che fa rapidamente il lavoro di decine di addetti e ha visto succedersi la Ibm e poi Windows 2000, 2010, 2018... come una Ferrari che sorpassa di slancio bici, motorini e utilitarie destinate a finire dallo sfasciacarrozze.
Cari lettori, oggi mi è venuta l’idea di raccontarvi la lunga storia di questo settimanale.
L’ho conosciuto oltre settant’anni fa, quando arrivava in pacco in parrocchia e noi, "gli aspiranti", lo portavamo casa per casa. Costava 20 centesimi, quanto un uovo di gallina. Consisteva in un doppio foglio con, in prima pagina, l’editoriale del direttore, don Antonio Giacinto (che si firmava Dangiac) o dell’avvocato Omero Raengo.
Era stampato dalla tipografia Commerciale del cav Trivelli. Veniva composto allineando negli appositi contenitori i caratteri di piombo che venivano poi impressi con le enormi presse del tipografo. Un lavoro certosino.
Negli anni Sessanta cominciò ad essere stampato a Udine con le rotative del Messaggero. Da una parte c’era una schiera di dattilografe che scrivevano i "colonnini" (misurandone la lunghezza col menabò). Poi toccava ai correttori di bozze e agli impaginatori: altro lavoro da fare in tempi stretti.
Cose che ora sembrano incredibili e invece appartengono alla nostra storia locale, ai nostri paesi "Tra il Livenza e il Tagliamento", com’erano allora titolate le pagine di cronaca locale, appunto.
Cari lettori, in questi decenni anche questo settimanale è cambiato. Ora in redazione operano persone qualificate che usano programmi di scrittura e di impaginazione al passo con i tempi. Ogni settimana si trovano per programmare e aprono il fascicolo in cui prende corpo l’editoriale della direttrice. Le pagine riservate alla diocesi, a città e paesi della Destra Tagliamento, alla cultura, ai servizi sui nostri migranti, allo sport ecc.
Sarà per questo pluralismo, sarà per l’affetto degli abbonati, sta il fatto che il nostro Popolo è tutt’ora uno dei settimanali diocesani più letti e radicati nel territorio.
Ogni settimana il postino lo recapita a varie migliaia di abbonati.
Questo amico di carta mi ha fatto conoscere tante splendide persone: dallo storico direttore don Antonio Giacinto a monsignor Sante Boscariol, al brillante corsivista don Piero Nonis, poi Vescovo di Vicenza, all’amico don Bruno Cescon che ha dato al settimanale un piglio nuovo, ai corrispondenti che inviano puntualmente notizie dalle parrocchie e dai paesi. Tanta brava gente a cui la comunità diocesana e la società civile devono molto.

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