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28 ottobre 1922-2022: Come "Il Popolo" raccontò la marcia su Roma

Era nato da nove mesi e venti giorni "Il Popolo" quando accadde il fatto che cambiò la storia della nazione. Era un sabato il 28 ottobre del 1922, giorno della marcia su Roma - di cui quest’anno ricorre il centenario...(foto wikipedia, pubblico dominio)

Parole chiave: Marcia su Roma (1), Fascismo (3), Centenario (13), Mussolini (6), Il Popolo (18)
28 ottobre 1922-2022: Come "Il Popolo" raccontò la marcia su Roma

Era nato da nove mesi e venti giorni "Il Popolo" quando accadde il fatto che cambiò la storia della nazione. Era un sabato il 28 ottobre del 1922, giorno della marcia su Roma - di cui quest’anno ricorre il centenario -, per questo "Il Popolo" datato 29 ottobre non ne porta traccia, stampato giorni prima come ancora oggi avviene. Ma dalla settimana dopo - la prima utile - non manca di farlo e non tace.
L’editoriale di domenica 5 novembre, rigorosamente senza firma come allora era in uso, portava un titolo che è una domanda "Vita nuova?". Scelta che sottolinea la posizione di attesa ma non priva di un dubbio oscillante tra prudenza e scetticismo di fondo, che il finale conferma "noi aspettiamo di vedere il nuovo Governo all’opera".
Il giornale non riprende la cronaca degli eventi e va dritto al giudizio politico di quanto accadde, da una parte riconoscendo a chiare lettere la debolezza del governo presistente, allora guidato da Facta, e dall’altra condannando senza ombra di possibili fraintendimenti la violenza manifestata dai fascisiti per giungere al potere. Così infatti scrisse allora il settimanale: "L’accusa principale che i fascisti muovevano al Governo (...) era quella di debolezza, la quale impediva una vera restaurazione del Paese... (...) Il Governo invischiato nei principi del laissez faire, laissez passer propri del liberalismo classico, non ha capito nulla di quanto domandava l’Italia e di quanto abbisognava al Paese; ed è venuta allora la bufera e ha permesso al sole di splendere in un’atmosfera nuova". Accoglienza che pare alquanto aperta - come si suol dire - al nuovo che avanza. Ma, lo si prennunciava, non si tace sul metodo che deve cambiare: "Il precedimento, esso non era dei più legali (...) Rallegriamoci però che la stessa mutazione a forza abbia potuto ottenersi quasi senza spargimento di sangue. Ma la violenza e l’illegalità non possono costituire la consueta norma di vita per nessun popolo; e i fascisti stessi sono persuasi di questo. Dobbiamo perciò attenderci da essi medesimi e dal nuovo Governo la cessazione dello stato di turbolenza e di agitazione in braccio a cui per troppo tempo, è stata l’Italia. E con la cessazione dell’eccezionalità, attendiamo pure la ripresa dell’attività normale, anzi l’inizio di una normalità vera e feconda che ancora - dopo la guerra - non s’è mai avuta".
Già dalla settimana dopo, comunque, l’editoriale de "Il Popolo" del 12 novembre 1922, porta il titolo "Il Problema della libertà" ed affronta il tema della libertà di stampa. Questo l’incipit: "E’ noto che, dopo le intolleranze fasciste nei riguardi della stampa, nel periodo della mobilitazione e della marcia su Roma, l’On. Barzilai [triestino ndr.], Presidente dell’Associazione della medesima, si rivolse all’On. Mussolini per avere assicurazioni da lui che la libertà di stampa non sarebbe stata sottoposta a coartazioni. Ed è nota pure la risposta dell’On. Mussolini: Sarà mantenuta la libertà alla stampa, purché la stampa sia degna della libertà!. Una risposta del genere non ha accontentato tutti, e in modo particolare non ha accontentato il "Corriere della Sera" il quale si domandava, preoccupato, se la libertà doveva allora farsi dipendere dal capriccio o - quanto meno - dal criterio d’un uomo oppure dal disposto e dalla maestà della legge. Era questo un mettere in campo non solo il quesito della libertà di stampa, ma addirittura l’integrale e capitalissimo problema della libertà".
Dopo di che l’editorialista si impegnò a dire che cosa è la libertà e soprattutto a distinguerla dalla licenza: "I governi che si sono susseguiti in Italia dopo la guerra, col loro lasciar fare, e lasciar fare a ogni costo, non difendevano la libertà, ma accarezzavano, almeno indirettamente, la licenza, incoraggiando l’abuso. La libertà non è, quindi, la licenza; come la licenza è la negazione della vera e genuina libertà (...) Ma se la libertà non è la licenza, non è nemmeno l’imposizione e la violenza".
E ancora, rincarando e precisando, "Il Popolo" mise nero su bianco il suo chiaro no alla violenza squadrista: "Non pochi fascisti sembrano aver fatto i sordi e voler quindi continuale nei loro sistemi, certo non belli; bruciando ancora Camere di Lavoro, impedendo la pubblicazione di giornali anche popolari, e sostituendo, tutt’al più al manganello... l’olio di ricino. Se dovesse continuare così sarebbe, invero, un gran male".
Anche i due editoriali successivi sono di taglio politico nè avrebbe potuto essere diversamente data la portata della novità e il metodo con cui essa stessa si impose. Quello del 19 novembre si dedicò a "Il Governo all’opera", mentre quello del 26 novembre affrontò un tema portante come "Politica e religione". Ma ormai la marcia era alle spalle, il potere preso e un nuovo cammino si avviava su gambe sempre più salde. Come andarono poi le cose è lungo a dirsi quanto risaputo: un ventennio di continue evoluzioni ed involuzioni attendeva la Storia, l’Italia e parimenti questi territori.
Simonetta Venturin

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