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Intervista a Telmo Pievani sugli inganni del pensiero, biodiversità e homo sapiens

Telmo Pievani: filosofo, accademico, docente di filosofia della scienza a Padova è al festival in tre diversi momenti per parlare di inganno del pensiero, pandemia ed evoluzione. Per la precisione: nel primo dei suoi interventi, sabato 17 settembre alle 17.30 all’Auditorium Vendramini presenta "Stai per commettere un terribile errore! Come evitare le trappole del pensiero" insieme all’autore del volume Olivier Sibony, studioso di pensiero strategico e analisi dei processi decisionali dell’École des Hautes Études Commerciales di Parigi. Nel secondo, sabato 17 ma alle 21 a Casarsa presenta "La natura è più grande di noi". Domenica 18 alle 11 al PalaPaff di Parco Galvani illustra "Il grande albero delle diversità"

Intervista a Telmo Pievani sugli inganni del pensiero, biodiversità e homo sapiens

Telmo Pievani: filosofo, accademico, docente di filosofia della scienza a Padova è al festival in tre diversi momenti per parlare di inganno del pensiero, pandemia ed evoluzione. Per la precisione: nel primo dei suoi interventi, sabato 17 settembre alle 17.30 all’Auditorium Vendramini presenta "Stai per commettere un terribile errore! Come evitare le trappole del pensiero" insieme all’autore del volume Olivier Sibony, studioso di pensiero strategico e analisi dei processi decisionali dell’École des Hautes Études Commerciales di Parigi. Nel secondo, sempre sabato 17 ma alle 21 a Casarsa presenta "La natura è più grande di noi" dedicato al rapporto tra uomo e ambiente oggi. Infine, domenica 18 alle 11 al PalaPaff di Parco Galvani illustra "Il grande albero delle diversità" dedicato alla evoluzione dell’uomo. Ne parliamo direttamente con il professor Pievani, cercando di carpire in anteprima qualche contenuto.
Prof. Pievani quali sono le trappole del pensiero in cui oggi cadiamo?
Il titolo si riferisce al volume di Sibony che è uno scienziato cognitivo. Spiega che la mente umana non è così razionale come crediamo e anche ai più attenti capita di cadere in pensieri ingannevoli. Le faccio esempi concreti: la tendenza al pensiero superstizioso, il vedere negli eventi un legame che non c’è. E una decisa difficoltà a capire la statistica.
Ovvero?
Se mi dicono che c’è lo 0,1% delle possibilità che un intervento vada male, il cervello vede che può andare male e non che ci sono 99,9% delle possibilità che vada bene.
Sono tutte trappole inconsapevoli, come l’effetto trompe l’oeil, oppure la mente intravede l’errore ma decide di non metterlo a fuoco?
Tutte e due le cose. Ci sono certo trappole in cui cadiamo inconsapevoli, come quelle dette. Ma è anche vero che ci sono evoluzioni della scienza che non ci piacciono e che tendiamo a rifiutare perché ci costano fatica, cambiano qualcosa di importante o comodo per noi.
Ci fa degli esempi?
Un esempio eclatante e sotto i nostri occhi proprio ora: il riscaldamento climatico e i suoi effetti. Un altro è l’evoluzione: non siamo sempre stati presenti, deriviamo da mutazioni.
In un incontro si dedica alla pandemia. Il dire no a vaccini e mascherine in nome della libertà è stata una trappola del pensiero?
Anche quella scelta è frutto di un errore cognitivo. Può esserci stata ignoranza, rifiuto della scienza, errore appunto: la libertà di uno non può essere tale se si fa minaccia, pericolo per gli altri. Non difendo la mia libertà, ledendo quella altrui. Non posso pretendere che in nome della mia personale libertà agli altri quella stessa sia negata. Questi individualisti non hanno visto che era questo il meccanismo del loro agire: per permettere a uno di fare in libertà, gli altri si sono dovuti necessariamente attenere alle regole. E allora quella non è libertà equa e condivisa ma individualismo. Questo è l’errore cognitivo degli individualisti durante la pandemia. La libertà invece si difende davvero solo se difendiamo anche la libertà altrui. Allora si fa libertà di e per tutti.
Lei ha parlato di ecologia della pandemia. Di che si tratta?
E’ l’aspetto mancante nei nostri discorsi di due anni a questa parte; li abbiamo affrontati schiacciati dall’emergenza e non abbiamo allargato lo sguardo alle cause remote. Le pandemie ci sono sempre state nella storia dell’uomo, ma oggi sono più numerose, frequenti e impattanti per la deforestazione, la promiscuità, i wet market (mercati di animali vivi). Superata l’emergenza dobbiamo chiederci: abbiamo rimosso le cause? Siamo quasi otto miliardi, ci spostiamo rapidissimi con voli intercontinentali, andiamo in terre inabitate…
Se l’uomo si è sempre evoluto cosa sta accadendo oggi: abbiamo rallentato la capacità di valutare le situazioni e agire di conseguenza?
Non abbiamo rallentato, al contrario: è una accelerazione eccessiva. Noi ci eravamo completamente scordati dell’ambiente - del resto circa il 60% delle persone vivono in città - e agiamo come se tutto dipendesse da noi. Ci siamo scordati di essere vulnerabili alle pandemie: dall’ultima è passato un secolo.
Questa pandemia potrebbe non essere l’ultima vero?
Si stima che in Cina ci siano circa 5mila coronavirus.
Ma al momento giusto sappiamo chiedere aiuto alla scienza…
Siamo ad un cambio epocale: la scienza, grazie alla pandemia, va in prima pagina da un paio d’anni. Ma abbiamo capito l’importanza della scienza o la usiamo quando serve, quando deve salvarci dal male? Direi che la usiamo a fini utilitaristici: è un atteggiamento miope. Le scoperte non nascono su commissione, vengono da un lavoro costante di ricerca, dalla curiosità, dalla esplorazione delle cose. Le soluzioni ai problemi sono figlie del sapere, non spuntano in due giorni quando si crea un caso. Non funziona che oggi scopro il virus e domani trovo il vaccino se non vengo da un percorso di studi, di ricerca di base fine a se stessa, non motivata dall’emergenza.
Il suo terzo incontro è dedicato all’Homo Sapiens e alla evoluzione. Per citare il titolo di un suo libro: perché "siamo parenti delle galline"?
E’ un libro per bambini, che mirava a spiegare come sia tutto legato nel pianeta e che veniamo dall’evoluzione delle prime cellule primordiali. Nessuno ci è estraneo. Se tra noi e lo scimpanzé la parentela si può far risalire a sei milioni di anni fa, con le galline si va più indietro, diciamo 200 milioni di anni fa. Lo chiamo l’albero delle biodiversità: di questo unico albero della vita presente sulla terra l’Homo Sapiens non è che un ramoscello. Risalendo a ritroso verso il tronco centrale troviamo snodi comuni. Ai bambini diciamo che siamo, non primi cugini, ma parenti alla lontana sì, pure delle galline.
Però ha anche scritto che l’umanità è oggi tecnologicamente modificata: cosa significa e su quale strada ci incamminiamo?
Significa che, nel bene e nel male, è cambiato il meccanismo evolutivo. Oggi abbiamo mezzi che possono modificare il corpo, pensiamo alle protesi o ai chip, ma anche possiamo intervenire sugli embrioni umani. E l’evoluzione umana va così veloce che siamo noi stessi a doverci adattare ai cambiamenti che stiamo attuando.
Un esempio?
Pensiamo al cambiamento climatico. I nostri stili di vita hanno modificato l’ambiente naturale che ora si comporta in modo diverso. I nostri figli dovranno adattarsi a vivere col cambiamento che noi e i nostri padri abbiamo causato. Questa è l’eredità evolutiva che lasciamo loro ed è un’eredità negativa.
Ha definito l’Homo Sapiens "mammifero africano loquace ed invasivo". Abbiamo sempre migrato, ma oggi una parte di noi non accetta migranti e migrazioni…
Migranti lo siamo da sempre per strategia adattativa. Dobbiamo la nostra fortuna e la nostra sopravvivenza a questa strategia. L’ambiente è sempre stato instabile, il clima mutevole, si pensi alle glaciazioni. L’uomo si è spostato là dove l’ambiente era più congeniale alla vita. Ma, è bene dirlo chiaramente, c’è una differenza sostanziale: ieri le migrazioni erano lente, non volontarie. Via via si andava, ci si spostava dove si stava meglio. Oggi, invece, si spostano masse numerosissime e si spostano velocemente e volontariamente e questo mette in crisi altre nazioni.
Non scordiamone la ragione: l’80% di chi si sposta lo fa per fuggire ai guai del cambiamento climatico. E qui c’è il paradosso: vengono da noi che siamo causa del cambiamento che li mette in fuga. Perché le popolazioni che si spostano non hanno stile e tenore di vita pari al nostro. Siamo noi che usiamo combustibili fossili, consumiamo energia… Il nostro stile da ricchi privilegiati ha causato il cambiamento climatico dal quale fuggono, ma noi non accettiamo questi arrivi, conseguenza del nostro operato.
C’è di più: noi guardiamo a chi attraverso il Mediterraneo, una goccia rispetto ai milioni di migranti in movimento nel pianeta.
Le popolazioni si spostano anche per le guerre. Qui non ci siamo evoluti: siamo ancora con la clava in mano a farci la guerra?
Sì, esatto. E sarà così fino a quando ci saranno risorse per gli uni e non per gli altri. Come le fonti di energia non rinnovabili a cui continuiamo ad attingere che si fanno sempre più rare e più care. Quindi diventano causa di conflitti, guerre, egoismi. Usare le rinnovabili sarebbe un modo per uscire da questo circolo vizioso. E’ una logica perversa: la guerra in Ucraina ce lo mostra tutti i giorni.
Simonetta Venturin

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