L'Editoriale
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Sciarada migranti

A casa nostra la battaglia si incendia sul fronte migranti, alimentata da opposte visioni politiche: quello della accoglienza o meno dei migranti. Dopo una tregua gli arrivi sono infatti ripresi con slancio e il premier Draghi, proprio in questa settimana, è alle prese col problema dei problemi: coinvolgere concretamente l’Europa.

Sciarada migranti

Si è consumata in un discreto silenzio la Giornata del rifugiato, domenica 20 giugno, come nel silenzio – rotto solo dalle notizie dei naufragi più cospicui – continuano gli arrivi dei migranti.

I rifugiati nel mondo - uno status giuridico riconosciuto dal diritto internazionale a coloro che fuggono da situazioni di reale pericolo e che non possono fare ritorno a casa - sono 82,4 milioni e per la maggior parte (9 su 10, l’86%) vivono, o sopravvivono, in campi di accoglienza extraeuropea, non molto distanti dai luoghi dai quali fuggono, ospitati da paesi limitrofi alle aree di crisi, nazioni quasi sempre a basso reddito. Prima di sentire eroico il nostro sforzo di accoglienza, va ricordato che il 56% dei rifugiati viene accolto da dieci paesi a basso reddito, la somma dei cui Pil arriva appena al 2,5% del Pil mondiale. Mentre in Italia lo status di rifugiato riguarda 131 mila persone su una popolazione di 60 milioni: circa il 2 per mille.

Tra i paesi di accoglienza ci sono la Turchia che sta ospitando – pagata dall’Europa - il numero più alto di rifugiati a livello mondiale (3,7 milioni), seguita da Giordania (quasi 3 milioni in fuga dalla guerra in Siria), Colombia (1,7 milioni, sostanzialmente venezuelani), Pakistan (1,4 milioni dall’Afghanistan), Uganda (1,4 milioni) e Germania (1,2 milioni).

I due terzi di chi fugge lo fa sostanzialmente da cinque paesi e i loro nomi dicono il perché: Siria (6,7 milioni), Venezuela (4,0 milioni), Afghanistan (2,6 milioni), Sud Sudan (2,2 milioni) e Myanmar (1,1 milioni). Anche dalla zona del Sahel si scappa: per la crescente desertificazione figlia dei cambiamenti climatici e per la continua guerriglia tra bande.

Questo quadro fornito dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite conferma con chiarezza che si abbandonano paesi di guerra, di guerra civile e fame. Possiamo davvero non capirlo?

A casa nostra la battaglia si incendia soprattutto su un altro fronte, alimentata da opposte visioni politiche: quello della accoglienza o meno dei migranti, ossia di coloro che scelgono di lasciare il proprio paese alla ricerca di un futuro degno di essere vissuto. E sono tanti e sono in crescita.

Dopo una tregua gli arrivi sono infatti ripresi con slancio e il premier Draghi, proprio in questa settimana, è alle prese col problema dei problemi: coinvolgere concretamente l’Europa.

Se tra gennaio e maggio del 2020 erano sbarcati in Italia 5.200 migranti, negli stessi mesi del 2021 la cifra è salita a 14.600 (+181%). L’esperienza dice che l’estate favorirà ulteriori picchi.

Tra i paesi di partenza ci sono Bangladesh (17%), Tunisia (14%), Costa D’Avorio (10%), Eritrea (7%), Guinea (6%). Arrivano soprattutto giovani uomini (68%) e minori (22%, dato in crescita). Discorso diverso per le donne: se tra i rifugiati sono la metà (48%), tra i migranti si fermano al 10%.

I migranti sbarcano su tutto il Mediterraneo, ma i numeri confermano che l’Italia guida la classifica dei luoghi d’approdo (14.655), seguita da Spagna (10.857), Grecia (3.116, su di essa converge anche la rotta via terra), Cipro (1.074).

Per questo è sempre l’Italia a sollevare la questione in Europa, chiedendo ormai da anni la gestione comune della questione e l’accoglienza condivisa tra i paesi dell’Unione.

Per questo ancora, dato che gli sbarchi aumentano e anche via terra la rotta balcanica non si ferma, Draghi in Europa si sta muovendo parecchio. Ha cominciato con singoli incontri: venerdì 18 giugno a Barcellona col premier spagnolo Sanchez, ugualmente alle prese con un trend di arrivi in aumento; lunedì 21 con la cancelliera Merkel, da sempre la più sorda alla questione della spartizione degli arrivati. Mosse preparatorie alla discussione portata sul tavolo del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno.

L’impresa è ardua. L’Italia ha cercato di tessere una tela di relazioni affinché il problema trovi una soluzione comune e condivisa. La via suggerita dal premier italiano contempla anche quella dell’impegno concreto sui luoghi di partenza: accordi con i paesi oltremare e finanziamenti di progetti che portino sviluppo, lavoro e maggior sicurezza.

E’ una sciarada difficilissima, che va premiata per lo zelo pur se resta nel fondo una cospicua dose di scetticismo: far sentire i sordi non è impresa da uomini. E i paesi dell’Unione, come molti tra di noi, non gradiscono l’argomento.

A tutto, volenti o no, si aggiungerà anche la questione Covid se, come il Papa implora, il vaccino non sarà per tutti. E allora, a seconda – diciamo- della prospettiva o li accoglieremo per vaccinarli e bloccare la continua libera circolazione anche del virus o avremo una ragione in più per respingerli.

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