L'Editoriale
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La preposizione che conta

Nei mesi bui dell'infuriare del morbo c'era chi sollevava dubbi sul numero dei decessi giornalieri: tutti morti "per" coronavirus? O forse morti "con" coronavirus? Là dove il "per" introduce la causa e il "con" indica le circostanze accessorie. Ora uno studio offre la risposta

La preposizione che conta

"Di a da in con su per tra fra" così le maestre d'un tempo insegnavano ai bambini le preposizioni. Una bella cantilena ed era fatta: stampate a mente per la vita. Pur sospettando che il metodo sia attempato, una cosa è certa: anche le dimenticate preposizioni sono tornate in auge grazie al Coronavirus. O meglio: a causa di questo.

Nei mesi bui dell'infuriare del morbo c'era chi sollevava dubbi sul numero dei decessi giornalieri: tutti morti "per" coronavirus? O forse morti "con" coronavirus? Là dove il "per" introduce la causa e il "con" indica le circostanze accessorie.

Di fronte alla scomparsa di migliaia di persone al giorno, il cavillo è fondato e pertinente, anche se per definizione il cavillo, dietro una veste di apparente verità, nasconde in sé un'intenzione capziosa, il desiderio di condurre il ragionamento su sentieri diversi. Nel caso in questione: sminuire la portata dei fatti che, nuovi e spaventosi a tutti, andavano chiudendo in casa l'Italia.

Comunque sia, alla questione andava risposto non con la mutevolezza delle opinioni ma con la fondatezza di numeri che venissero da analisi condotte caso per caso.

Così il 16 luglio - giorno in cui in Italia i morti per Covid hanno superato quota 35 mila - sono stati divulgati i risultati di una ricerca di Istat (Istituto Nazionale di Statistica) e Iss (Istituto Superiore di Sanità). Unendo il sapere statistico a quello medico, i due istituti hanno analizzato 4.942 schede di pazienti provenienti da tutta Italia, risultati positivi al SARS-CoV-2 (il coronavirus) e deceduti tra febbraio e maggio. Lo studio mirava a verificare di quali e quante altre malattie fossero affetti questi pazienti; quanto altre malattie abbiano pesato e contribuito alla loro morte; per quanti di questi il Covid-19 possa dirsi essere stato la principale causa di morte, quella direttamente responsabile del decesso.

Ebbene ne è risultato che “il Covid-19 è stato la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi di persone positive al test Sars-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono state le malattie cardiovascolari (4,6%), i tumori (2,4%), le malattie del sistema respiratorio (1%), il diabete

(0,6%), le demenze e le malattie dell’apparato digerente (rispettivamente 0,6% e 0,5%)".

La ricerca mette fine a tanti voli pindarici che hanno circolato senza patente di scientificità: ad esempio riguardo all'incidenza e alla mortalità per età. Riguardo quest’ultima, è emerso che il Covid-19 è stato la causa direttamente responsabile della morte del 92% dei pazienti rientranti nella fascia 60-69 anni (picco massimo), nell’80% dei pazienti appartenenti alla fascia più ampia dai 70 anni in su. Il coronavirus può quindi essere fatale: non solo in persone molto anziane e non sempre come concausa di patologie esistenti. Di coronavirus e basta, ovvero senza che ci fossero concause preesistenti, è morto complessivamente quasi il 30% del campione (28,2%), percentuale che si mantiene simile per i due sessi e nelle diverse classi di età. Solo nella fascia 0-49 anni la percentuale di decessi senza concause si abbassa al 18%, che comunque significa quasi uno su cinque.

Certo, girando la medaglia, si può anche dire che il 71,8% dei decessi di persone risultate positive è stato provocato da preesistenti concause che sono state così quantificate: cardiopatie ipertensive (18% dei decessi), diabete mellito (16%), cardiopatie ischemiche (13%), tumori (12%). Hanno inciso invece meno del 10%: malattie croniche delle basse vie respiratorie, malattie cerebrovascolari, demenze, Alzheimer e obesità.

Due le complicanze mortali del Covid19: la polmonite (80% dei casi) e l’insufficienza respiratoria (55%).

Se questi numeri portano un po’ di chiarezza sul fronte della mortalità, grande rimane l’incertezza riguardo la gestione della crisi sanitaria, alimentata anche dai pareri discordi degli specialisti (il coronavirus è ancora forte o si è ammorbidito?).

I numeri intanto continuano a salire: oltreoceano e in India siamo in piena pandemia, mentre focolai si riaccendono in nazioni a noi non lontane (dalla Spagna alla Francia fino all’area balcanica).

Alla luce di tutto ciò acquistano un valore diverso l'idea di prolungare lo stato di emergenza fino al 31 ottobre come le chiusure dell'Italia ai voli provenienti da paesi a rischio (le ultime per Serbia, Montenegro e Kosovo). Provvedimenti invisi perché non indolori per l'economia, ma finalizzati a scongiurare un secondo lockdown.

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