L'Editoriale
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Fratelli e fratellastri d'Italia

Tre regioni in cammino verso l'autonomia differenziata. E altre che non stanno a guardare. In lista d’attesa per l’autonomia ci sono anche Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Campania. Ovvero mezza Italia. Come diventeremo?

Parole chiave: Referendum (1), Unità (4), Politica (30), Italia (21)
Fratelli e fratellastri d'Italia

  Tre regioni sono in attesa che venga loro concessa l’autonomia resa possibile da un referendum di diciotto anni fa, quando il 17 ottobre 2001, il 34,1% degli italiani andò alle urne per dire sì (64% dei votanti) alla modifica dell’articolo V della Costituzione. Non essendo richiesta la maggioranza, il referendum passò, concedendo ampi poteri alle Regioni su ambiente, sanità, scuola, compresa la possibilità di legiferare su ciò che non è espressamente materia dello Stato.
Così oggi Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna (guidate dalla Lega le prime due, dal Pd l’ultima) attendono il via definitivo a una legittima richiesta di autonomia differenziata; in Veneto convalidata dal referendum del 22 ottobre 2017.
L’iter aveva una scadenza, fissata dal premier Conte e il vice Salvini per il 15 febbraio. Il 14 Erika Stefani, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, ha portato in Consiglio dei Ministri le bozze d’intesa per sancire l’autonomia delle tre regioni. Risultato?
Un guazzabuglio dentro e fuori.
Dentro. Non solo quattro voci sono rimaste in sospeso per non aver ottenuto il placet (infrastrutture, ambiente, sanità e scuola), ma ad ingarbugliare la matassa è comparso un contro dossier anonimo contenente una lista di criticità: le regioni più ricche avranno più trasferimenti di quelle povere, si creeranno cittadini di serie A e di serie B, si andrà a minare il ruolo delle Camere, si rischieranno infiniti ricorsi alla Corte costituzionale.
Fuori. Le altre regioni non sono state a guardare. Capofila delle proteste il governatore della Campania Vincenzo De Luca (Pd), che si è espresso contro "la secessione dei ricchi". A lui si sono uniti il presidente della regione Toscana Enrico Rossi (Pd) contrario perché "l’Italia non deve dividersi in staterelli" e il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti (Pd): "Così si va verso la distruzione del Paese".
Non pare solo una questione di partito tanto che le divisioni intestine non mancano: in Veneto il Pd è favorevole e, nel frattempo, lo stesso De Luca ha saltato la barricata, annunciando che anche la Campania chiederà l’autonomia. Divisi gli esponenti di Forza Italia: quelli del Nord favorevoli, quelli del Sud contrari. Divise le due forze al governo: la Lega è da sempre il partito del federalismo, il Movimento invoca il passaggio per il Parlamento.
Roberto Fico, presidente della Camera ha dichiarato: "Il Parlamento non solo verrà coinvolto ma avrà un ruolo decisivo". Idem il premier Giuseppe Conte: "Si tratta di un processo serio da portare avanti con molta responsabilità. Il Parlamento non può essere destinatario passivo di un progetto di riforma rivoluzionario".
Il momento è storico quanto delicato. L’eco della Brexit - un referendum i cui esiti hanno mandato nel pallone un Paese - riecheggia molesto.
Il quadro si fa ancora più confuso se si pensa che - dopo Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna -, in lista d’attesa per l’autonomia ci sono anche Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Campania. Ovvero mezza Italia. Come diventeremo?
I tempi si allungano e quanto questo sia figlio della procedura o di un preciso disegno politico è lasciato a ciascuno decidere. Una cosa è certa: si avvicina la zona cesarini delle elezioni europee (26 maggio). E anche queste entrano in gioco andando a dividere animi che uniti non sono.

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