L'Editoriale
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Dignità infinita: vivere all'altezza

E questa è dunque la sfida più grande: non solo vivere ma vivere all’altezza 

Dignità infinita: vivere all'altezza

Dignità infinita

Vivere all’altezza

Simonetta Venturin

C’è confusione e c’è tensione in questo inizio di aprile insolitamente caldo: dal punto di vista politico non si contano le dissociazioni e gli strappi in vista di un voto di giugno per le europee e per molte amministrazioni locali, che ancora non si eleva a disegni e progettualità ma sembra piuttosto restare invischiato nei fondali fangosi che si incontrano quando la res publica è sfuocata dalla res mea. Non va meglio a livello internazionale con guerre che non sanno spegnersi neppure di fronte agli appelli incrociati e ai numeri dolorosi e vertiginosi raggiunti dalle vittime. Gli incidenti sul lavoro e i femminicidi continuano a tingere di rosso le aperture dei giornali e perfino la cosa più sacra al mondo, la vita dei bambini, naufraga sulle spiagge e sui banchi del parlamento europeo, vittima di un mondo adulto che non sa proteggerla. Sono dunque giorni duri, in cui pare proprio che le danze macabre stiano scendendo dalle pareti affrescate delle vecchie pievi per tornare a muovere i loro passi di morte per le vie dei nostri giorni.

Se questi sono gli scenari, c’è da chiedersi: che senso diamo alla vita? Domanda che sorge spontanea a pochi giorni dalla pubblicazione della Dichiarazione, approvata da papa Francesco, della Dichiarazione Dignitas infinita.

E’ l’aggettivo “infinita” che latita: pare infatti che alla vita si stia dando il valore di una presenza tollerata a patto che non si faccia fastidiosa rispetto ai passi di ciascun uomo, tollerata se resta rispettosa dei confini personali e nazionali. Ma una vita che sia definibile “importante e da rispettare se”, non è forse una vita col condizionale? E proprio qui sta il busillis almeno per chi si dice credente: la vita è un valore in sé, non un valore se non…

Lo diceva bene Madre Teresa di Calcutta in una sua celebra poesia e preghiera: “La vita è preziosa, abbine cura. La vita è vita, difendila!”. Ma pare che, persa di vista la preziosità incondizionata di quel primo ed eterno soffio vitale che tutti i viventi accomuna, si sia anche persa la capacità di proteggerla, anche dalle nostre non sempre meritorie azioni, riuscendo invece benissimo nell’intento di difendere la nostra di vita: quella di ciascuno – meglio se rispettosa di certi standard o di un certo stile – come quella della propria nazione; quindi non la vita in sé e per sé, ma la vita in me, per me e secondo me.

Lo confermano due eventi accaduti la scorsa settimana: da una parte l’approvato diritto all’aborto come valore universale dall’Unione europea, dall’altra la Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede Dignitas infinita. Potrebbero sembrare due ambiti distinti in cui l’uomo si esprime: la fede e la vita civile; ma così si perde di vista che quegli ambiti sono ugualmente abitati dall’entità uomo e, seppur percepiti in antitesi, riguardo alla dignità umana e al diritto alla vita vanno – sulla carta – perfettamente all’unisono.

La Dignitas infinita porta fin nell’incipit del documento la definizione di “dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo essere” che spetta “a ciascun essere umano, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi”.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dedica il primo capitolo alla Dignità e cita all’art. 1 “La dignità umana è inviolabile, essa va rispettata e tutelata”. E all’art, 2 “Ogni individuo ha diritto alla vita (c.1). Nessuno può essere condannato alla pena di morte (c2.)”. Eppure, in questa Europa di vita e dignità tutelate, le vite nascenti non hanno ancora maturato la dignità piena.

Questo si lega al fatto che quella dignità dell’essere umano “inalienabile e intrinseca fin dall’inizio della sua esistenza” (D.I. n.22), dipende dalla decisione di ciascuno essere umano di “esprimerla e manifestarla fino in fondo oppure offuscarla”. E spetta quindi a ciascun uomo, nella sua libertà, la scelta di vivere “all’altezza della propria dignità” o meno.

E questa è dunque la sfida più grande: non solo vivere ma vivere all’altezza di una dignità, che per i credenti viene dalla paternità comune e divina. Una dignità da intendersi come nobiltà morale da esprimere dando il meglio di sé, a se stessi come agli altri. Perché prevaricare, soffocare, eliminare, uccidere sono gli atti di Caino; perdonare, accogliere, amare quelli del divino. Spetta a noi scegliere quale maestro e quale via seguire, spetta a noi decidere quanta dignità vogliamo dare ai nostri giorni e alle nostre azioni.

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