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Una tragica spedizione

Novant'anni fa il tricolore italiano arrivoò sul Polo Nord. Una missione che destò l'interesse di tutti e inorgoglì la nazione, ma il prezzo da pagare fu altissimo. Alla scoperta della storia del dirigibile Italia pilotato dal generale della Regia Aviazione, Umberto Nobile.

Una tragica spedizione

Nel maggio del 1928, il generale della Regia Aviazione Italiana, Umberto Nobile, al comando del dirigibile Italia, raggiunse per la prima volta il Polo Nord. Lo stesso Nobile aveva già sorvolato il Polo Artico in una precedente spedizione guidata dall’esploratore Norvegese Amundsen a bordo del dirigibile Norge. Purtroppo la seconda impresa fu funestata da un terribile incidente, le cui cause, a parte le condizioni metereologiche estreme, non furono mai chiarite.
Nella primavera di 90 anni fa, tutta l’Italia e il mondo intero rimasero con il fiato sospeso. L’ attesa gravò soprattutto su Genova perché sul dirigibile Italia precipitato c’era anche il giornalista Ugo Lago, corrispondente del "Secolo XIX".
Due soli giornalisti erano stati ammessi a bordo per raccontare la storica impresa, Cesco Tomaselli per il Corriere della Sera e Ugo Lago per il Secolo XIX. Fu lui a raccontare la parte finale. Nel tragico impatto rimase impigliato nell’involucro che d’improvviso riprese quota e sospinto dal vento impetuoso scomparve per sempre.
Attraverso i suoi servizi speciali inviati al Secolo XIX possiamo ancor oggi rivivere la conquista del Polo e la tragica fine dell’equipaggio.
In uno degli ultimi articoli pervenuti, il 5 maggio, scriveva: "Oggi l’argentea aeronave riposa dopo le fatiche e paurose sbandate dei giorni scorsi". Nell’articolo seguente raccontava il lungo volo di avvicinamento. Il 15 proseguiva: "Soldati dell’aria, di terra e di mare lottano eroicamente contro il mare, il ghiaccio e la fitta neve". Il 16: "L’Italia (così si chiamava il dirigibile) naviga vittoriosa verso il mistero dell’Oceano Glaciale Artico (...). A queste latitudini il tempo è una belva che improvvisamente ti assale implacabile".
Le previsione del tempo erano allarmanti e il dirigibile era un gigantesco "Vescicone" (con questo termine li bollò Balbo che non li aveva in simpatia) lungo 106 metri, era carico di 18,5 metri cubi di idrogeno che lo rendevano una bomba. Manovrare una montagna di gas di tali dimensioni nelle nebbie artiche, con venti spesso fortissimi, era un’impresa rischiosissima che richiedeva abilità e coraggio estremi. Tre modesti motori da appena 250 KV di potenza gli consentivano una velocità di 90 Km orari, e non raramente il vento soffiava a velocità superiore.
Martedì 22 maggio il Secolo XIX aveva dedicato al capo spedizione, il generale Nobile, la prima pagina e raccontava il viaggio esplorativo verso le Terre di Nicola II.
Il giorno dopo troviamo la cronaca di una bella giornata di sole splendente sulla distesa di ghiaccio abitati da branchi di orsi bianchi e di foche. Il giorno dopo una breve notizia di agenzia: "Il dirigibile Italia è partito ieri facendo 13.000 chilometri di volo in 17 ore di volo".
A questo punto, viste le avverse condizioni metereologiche, Nobile decide di alleggerire il carico e di lasciare a terra un giornalista. I due si giocano il posto, vince Lago, il più giovane. E così Tomaselli si salva.
Da questo momento dal dirigibile arrivano solo brevi dispacci e, tra i primi, l’attesa notizia: "Alle 4,28 del 25 maggio sorvolano il Polo. "Aperto il portellone lanciamo la croce affidataci dal Papa, Pio XI, e il Tricolore".
Nel viaggio di ritorno, il dirigibile Italia perse quota e urtò con la cabina di comando la superficie del ghiacciaio dell’Artico. Nove uomini vengono sbalzati sulla distesa ghiacciata, uno muore nell’impatto e tre, tra cui lo stesso Nobile, sono feriti. Sei mancano all’appello. Tra essi il giornalista. Sono rimasti nel dirigibile che riprende quota e scompare nelle nebbie nordiche.
Dell’aeronave e degli uomini rimasti a bordo non si seppe più nulla. Non appena si diffuse la notizia della disgrazia, per salvare i sopravvissuti ci fu uno straordinario impegno da parte di numerosi Stati europei. Si mobilitarono piloti, marinai ed esploratori di diverse nazioni: alcuni, come lo stesso Amundsen, morirono durante le ricerche.
I naufraghi resistettero con mezzi di fortuna sul pack artico per 49 giorni. Solo il meteorologo svedese Finn Malmgrenn perse la vita per assideramento.
Gli altri sopravvissero nonostante la mancanza di scorte, riparandosi come potevano dal gelo polare.
Dal 27 maggio, allorchè la radio era rimasta silenziosa, l’attesa si fece spasmodica. La loro sorte sembrava già segnata. Il comando della nave "Città di Milano", inviata alla ricerca dei superstiti, non ricevendo alcun segnale, sospese le ricerche. Fu lo scrupolo di un radioamatore russo, Nicolai Schmidt, che raccolse un messaggio che con ostinazione il marconista Biagi continuava ad inviare e così il rompighiaccio russo Krassin giunse al largo della zona del naufragio.
Nel frattempo l’esploratore norvegese Amundsen, partito da solo nel tentativo di trovare qualche presenza umana a cui chiedere aiuto, si era perso e di lui non si seppe più nulla.
La tragedia finì dopo 48 giorni il 3 luglio quando un navigatore svedese scorse la "tenda rossa" che i naufraghi avevano montato per essere avvistati nell’immenso mare artico. Viste le condizioni metereologiche solo Nobile e la sua cagnetta salirono a bordo per essere portati sulla rompighiaccio russa. Gli altri sette rimasero ad aspettare la morte. Il generale, costretto ad occupare l’unico posto disponibile, rientrò semi assiderato.
Finchè visse fu ossessionato dal ricordo dei compagni scomparsi nella tormenta polare. E’ morto a Roma il 30 luglio del 1978.

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