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Chi era Giovanni Guareschi

Il padre della saga su don Camillo e il sindaco Peppone

Chi era Giovanni Guareschi

iCinquant’anni fa, nel 1968, moriva un grande scrittore italiano. Tutt’ora è il più tradotto all’estero: Giovanni Guareschi. Era nato nel 1908 a Fontanelle di Roccabianca (Parma). Giornalista, vignettista, umorista. Assieme a Giovanni Mosca e a Giaci Mondaini (il padre di Sandra) aveva dato vita al Candido, diffusissimo giornale umoristico che non faceva sconti né ai compagni comunisti né ai democristiani, criticatissimo sia dall’Unità di sinistra che dai democristiani, tanto che per una vignetta spiritosa il nostro si fece qualche anno di carcere.
Proprio sul Candido, a cominciare dal 1948, uscì a puntate, la saga di don Camillo e di Peppone, resa popolare della trasposizione cinematografica della Riz con Fernandel nei panni di don Camillo e Gino Cervi in quelli del sindaco Peppone.
Il racconto delle vicende del "Mondo piccolo" di Brescello in riva la Po continuò a puntate per una decina d’anni, in cinque serie successive, raccolte poi in diversi volumi editi dalla Rizzoli.
Lo stile è scorrevole, il linguaggio immediato. L’autore afferma che il suo vocabolario non ha più di 300 termini. La narrazione è sempre diretta, incalzante, piena di sorprese. Rileggendo quei libri trovi la storia di Brescello, paese sulle sponde del Po, in vicende che, in quei tempi, accadevano in molti paesi italiani, divisi tra cattolici e comunisti in un mondo del primo dopoguerra, con la gente che lasciava i campi per andare in fabbrica e diventava classe operaia. I preti mettevano il clergyman e abbandonavano il latino. I giovani volevano cambiare il mondo e protestavano contro tutti.
Storie di sessant’anni fa, storie in cui ci sembra ancora di essere dentro perché sono storie di sempre. Storie di grandi sogni e passioni con bruschi risvegli come capitò a Peppone e don Camillo quando andarono a vedere come funzionavano le cose nel paradiso sovietico e nel bengodi americano e si resero conto che le grande ideologie avevano fallito e forse "Si stava meglio quando si stava peggio".
Per questo le vicende del prete manesco che parlava col crocifisso e del sindaco mangiapreti ma che ci teneva che i suoi figli fossero battezzati, potevano accadere in ogni paese di questo mondo e hanno ancora qualcosa da dirci.
Scriveva lo stesso Guareschi nella prefazione della prima edizione del Mondo piccolo: "Gli uomini cercano di modificare la geografia bucando le montagne e deviando i fiumi, così facendo si illudono di dare un corso nuovo alla storia. Ma non modificano un bel niente perché un bel giorno tutto andrà a catafascio, le acque ingoieranno i ponti, romperanno le dighe. Crolleranno le case, palazzi e catapecchie e l’erba crescerà sulle macerie. E tutto tornerà terra".
Insomma Guareschi ci teneva a farci sapere che non erano storie di folklore paesano ma il suo "Mondo piccolo" non era solo il ritratto della realtà rurale in riva al Po, ma è una storia che si ripete, in altri siti e con altri personaggi. Anche ora.
Rivedendo quei film in bianco e nero continuiamo a ridere pensando a personaggi ecclesiastici e politici dei nostri tempi.
Su questa epopea l’osservazione più acuta resta quella di Indro Montanelli. Sosteneva che don Camillo e Peppone fossero la stessa persona. Sono la manifestazione di un’Italia che sapeva vivere sotto l’ombra del campanile, qualunque fosse la chiesa di appartenenza.
"E’ morto lo scrittore che non è mai nato". Così titolò il suo editoriale su l’Unità in cui parlava di Guareschi, scrittore di fama mondiale ignorato dai manuali di letteratura, dalle antologie in uso nelle scuole italiane, lo scrittore che raccontò le bellicose contrapposizioni ideologiche del primo dopo guerra, parlando dell’autentica umanità che animava due avversari che in fondo si stimavano e non potevano vivere l’uno senza l’altro.
L’articolo fu pubblicato sul quotidiano comunista assieme a una gustosa vignetta dello stesso Guareschi che rappresentava un corteo dei compagni dietro una bandiera rossa su cui spiccavano gli imperativi del partito: "Obbedienza pronta cieca e assoluta. A Guareschi piaceva sbeffeggiare il fanatismo di chi prendeva alla lettera le direttive dei capi. Nella vignetta successiva, lo stesso corteo dietro la bandiera rossa su cui la scritta era cambiata: "Contrordine compagni. Viva la libertà!".

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