Commento al Vangelo
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Domenica 29 settembre, commento di don Renato De Zan

L'uomo ricco e il povero Lazzaro: la giustizia sociale nasce dalla Parola

Parole chiave: Ricco (1), Lazzaro (4), Vangelo (126), De Zan (47)
Domenica 29 settembre, commento di don Renato De Zan

Lc 16,19-31 (testo abbreviato)
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "C’era un uomo ricco, che ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, bramoso di sfamarsi. Il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco. Stando negli inferi fra i tormenti, vide di lontano Abramo e Lazzaro. Allora gridando disse: "Padre Abramo, manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"".

Tematica liturgica
La domenica del povero Lazzaro può dar fastidio all’egoista che non si preoccupa se non di sé stesso e non guarda il bisogno che può essere presente attorno a lui. L’ingiustizia sociale è una piaga che affligge l’umanità da sempre. Nel sec. VIII a.C., profeta Amos (prima lettura, Am 6,1a.4-7) esprime un severissimo giudizio divino sull’ingiustizia sociale e sui ricchi disumani e amorali che la provocano e la alimentano. Il profeta vede la manifestazione del giudizio di Dio nel castigo a cui saranno sottoposte le popolazioni d’Israele: l’esilio devastante di Ninive (da questo esilio non ci sarà ritorno). Non si può essere ricchi egoisti. La logica di Dio è diversa dall’egoismo.
Il testo di Lc 16,19-31 è associato alla Colletta propria nella cui amplificazione dell’invocazione l’assemblea inizia a pregare, partendo da questa constatazione: "O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone.....". I ricchi, i sapienti e i potenti, infatti, lasciano il loro nome alla storia. Nessuno, invece, si ricorda dei poveri. Nella storia della salvezza avviene il contrario. Conosciamo il nome del povero: Lazzaro. Non conosciamo il nome del ricco. Epulone è un vocabolo arcaico che indica "colui che banchetta, crapulone" (dal verbo latino "epulo", mangiare)
Il ricco della parabola evangelica è come i ricchi descritti da Amos: banchetta e si concede tutto, ma non si cura di nessuno. Ed è palesemente egoista perché non condivide niente con il povero Lazzaro che è alla porta della sua casa. Come togliere la piaga dell’ingiustizia sociale? Qualcuno in passato indicava la rivoluzione. L’insegnamento del Maestro (vangelo, Lc 16,19-31), invece, propone come linea di soluzione l’ascolto della Parola da cui poi prenderanno vita le strategie che l’amore cristiano saprà umanamente organizzare. Il cristianesimo è convinto che la giustizia sociale e l’eguaglianza passano attraverso la preghiera che invoca tale giustizia da Dio (prima petizione della Colletta propria: "Stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all’orgia degli spensierati") e chiede la conversione che deriva dall’ascolto della Parola (terza petizione della Colletta propria: "E fa’ che aderiamo in tempo alla tua Parola").

Dimensione letteraria
L’incipit liturgico ("In quel tempo, Gesù disse ai farisei") serve per comprendere chi siano i destinatari della parabola di Gesù. Si tratta dei farisei. Essi credevano alla vita dopo la morte, ma avevano alcune caratteristiche che Gesù non approvava. Una di queste era l’amore per il denaro (cfr Lc 16,14: "I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui"). Il testo di Lc 16,19-31 si suddivide in due parti. La prima presenta la situazione dei due protagonisti prima della morte (Lc 16,19-21). Il ricco veste sfarzosamente e banchetta. Il povero è pieno di piaghe e pieno di fame. La seconda presenta i due protagonisti dopo la morte (Lc 16,22-31). Questa seconda parte è scandita da tre momenti dall’invocazione del ricco: "padre Abramo" (Lc 16,24), "padre" (Lc 16,27) e ancora "padre Abramo" (Lc 16,30). Nel primo momento viene presentato il tema della retribuzione dopo la morte (il buono è premiato, il malvagio, castigato). Nello specifico, non c’è nessuna possibilità che la sofferenza del ricco possa essere mitigata neppure da una goccia d’acqua. Nel secondo momento il ricco finalmente si interessa degli altri; nel caso concreto si tratta dei suoi fratelli (ricchi). Lazzaro, il povero, dovrebbe essere al servizio dei ricchi. Abramo taglia corto. C’è la Sacra Scrittura: essa porta il messaggio che il ricco dannato vorrebbe arrivasse ai suoi fratelli. Il terzo momento è quello più forte. Il ricco ritiene che i propri fratelli non siano in grado di ascoltare la Parola di Dio. Sono in grado, invece, di convertirsi davanti a un  fatto eclatante, assolutamente fuori dal normale. E’ sempre la stessa mentalità. Per il ricco, che vive una vita eclatante, assolutamente fuori dal normale, Dio dovrebbe approvare questa mentalità e accondiscendere al miracolo. Ma Abramo lascia cadere la richiesta del ricco. Il miracolo consoliderebbe la mentalità del ricco, mentre per i fratelli l’umiltà e la forza della Parola sono sufficienti perché la Parola è sempre efficace (Is 55,10).

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