Commento al Vangelo
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Domenica 11 giugno, Corpus Domini, commento di don Renato De Zan

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna

Domenica 11 giugno, Corpus Domini, commento di don Renato De Zan

Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

 

 

Il Testo

 

1. Il brano del dialogo tra Gesù e i Giudei nella sinagoga di Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani, viene riportato in Gv 6,27-58 e si suddivide in cinque parti: dialogo sul miracolo (Gv 6,25-27), dialogo sulla fede in Gesù (Gv 6,28-30), dialogo sul pane del cielo (Gv 6,31-33), dialogo sull’accoglienza di Gesù (Gv 6, 34-4) e il dialogo (nuovamente) sul pane del cielo (Gv 6,41-58). Come si può notare, la formula evangelica (Gv 6,51-58) è stata scelta dall’ultima parte del quinto dialogo. La Liturgia ha premesso un incipit (“In quel tempo, Gesù disse alla folla”) per evidenziare il mittente (Gesù) e il destinatario (la folla).

 

2. Nel testo della formula si possono scorgere due strutture: quella letteraria e quella teologica. La struttura letteraria vede agli estremi (vv. 51 e 58) gli elementi inclusivi (“pane disceso dal cielo” + “se uno / chi mangia di questo pane vivrà in eterno”). Gli altri elementi sono (vv. 51-52 e 57) “carne + mangiare”/ “mangiare + me” e (vv. 53 e 55-56) “carne + sangue” / “carne + sangue”. Al centro (v. 54) troviamo il messaggio principale: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno”. La struttura teologica, invece, all’interno dell’inclusione già vista, vede due strutture concentriche minori. Nella prima, i vv. 51-53, all’esterno c’è il tema della “carne” e della “vita” mentre al centro ( v. 52) c’è la domanda dei Giudei: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Nella seconda struttura, i vv. 54-56, all’esterno c’è l’espressione “Chi mangia la mia carne, beve il mio sangue” (vv. 54.56) e al centro (v. 55) c’è l’affermazione chiara e inequivocabile di Gesù: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”. Il v. 57 chiude la riflessione teologica indicando il passaggio di vita tra il Padre e Gesù e tra Gesù e il discepolo che “mangia Gesù”.

 

L’Esegesi

 

1. Ci sarebbero tanti punti esegeticamente interessanti. Fermiamo la nostra attenzione su due punti: la carne come vero cibo e il sangue come vera bevanda, l’effetto del mangiare la carne di Cristo e bere il suo sangue. L’aggettivo “vero”, in greco “alethés”, intende dire “autentico”, “reale”. Non ha assolutamente in sé il connotato di “simbolico”. A conferma della presenza reale, si veda come Gesù ripeta in questo brano più volte l’espressione “mia carne” (v. 51.54.55.56). Si trova anche l’equivalente (“la carne del Figlio dell'uomo”: v. 53). La conferma più bella si ha nell’espressione “colui che mangia me vivrà per me” (v. 57). Un’ulteriore conferma si ha nel fatto che i suoi ascoltatori hanno capito molto bene che Gesù non intendeva parlare a livello di simboli: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.

L’effetto del cibarsi della carne di Gesù è duplice e spiega benissimo per il credente la necessità della partecipazione alla comunione eucaristica. L’Eucarestia dona già oggi (si veda il tempo del verbo) la certezza della salvezza (se non subentrano altri elementi contrari) e dell’altra certezza, quella della risurrezione.

 

2. Altro dato che emerge dal testo e che merita molta attenzione si trova nel v. 57. Il testo illustra come la fonte della vita (“eterna”) sia il Padre. Gesù partecipa di questa vita (“eterna”) perché vive per il Padre (legame di amore e di obbedienza). Il discepolo che “mangia” Gesù ha la vita (“eterna”), che deriva dal Padre attraverso Gesù, e vive per Gesù (legame di fede, di amore e di obbedienza).

 

Il Contesto Liturgico

 

1. La prima lettura (Dt 8,2-3.14b-16a) presenta il cammino degli Ebrei nell’Esodo. Durante il cammino Dio li fa sopravvivere con la manna e con l’acqua dalla roccia durissima. Nella teologia dei Padri i due elementi sono simbolo dell’Eucaristia e del Battesimo. Ma c’è di più. Al v. 13 il testo biblico confessa che Dio ha nutrito il popolo ebraico di “pane” (manna) e di “quanto esce dalla bocca di Dio” (Parola). La seconda lettura (1Cor 10,16-17) evidenzia il valore unitivo dell’Eucaristia: la comunione con il corpo e il sangue di Gesù rende i credenti “un solo corpo”.

 

2. La celebrazione eucaristica s’identifica con la “presenza reale”? La celebrazione eucaristica è questo ed è di più. La Colletta generale lo spiega molto bene. Nell’amplificazione dell’invocazione, si afferma che prima di tutto il sacramento dell’Eucaristia è il “memoriale della Pasqua” del Signore. La celebrazione rende presente il Mistero della Morte e della Risurrezione di Gesù. Nella complementare della petizione, invece, si afferma che il pane e il vino sono il Corpo e il Sangue di Cristo e meritano l’adorazione dei cristiani. La seconda Colletta preferisce essere più aderente alla celebrazione. Nella petizione si annuncia che la celebrazione dell’Eucaristia si attua nella doppia mensa, quella della Parola e quella del Corpo e Sangue. Nel fine della petizione c’è un tema ripreso dalla seconda lettura (1Cor 10,16-17): la comunione con Cristo ci pone in comunione con i fratelli (“tutti partecipiamo dell’unico pane”).

 

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