L'Editoriale
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Vaccini da Nobel

La biochimica di origine ungherese Katalin Karikò, 68 anni, e l’immunologo statunitense Drew Weissman, 64 anni, hanno meritato il Nobel per la Medicina 2023 per il loro rivoluzionario vaccino mRna che ha permesso di sconfiggere il Covid. Secondo Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei Medici italiani i vaccini hanno permesso di salvare 20 milioni di vite nel mondo e almeno 150mila persone in Italia (a fronte di quasi 7milioni di vittime e770 milioni di contagiati)

Vaccini da Nobel

Scienza batte complottismi: lunedì 2 ottobre la biochimica di origine ungherese Katalin Karikò, 68 anni, e l’immunologo statunitense Drew Weissman, 64 anni, hanno meritato il Nobel per la Medicina 2023 per il loro rivoluzionario vaccino mRna che ha permesso di sconfiggere il Covid. Questa la motivazione del premio: “Hanno salvato milioni di vite e prevenuto malattie gravi, consentendo alla società di aprirsi e tornare a condizioni normali”, uscendo dalle case diventate tane, ritornando al lavoro, a scuola, al cinema, allo sport, alla vita di sempre.

Secondo Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei Medici italiani i vaccini hanno permesso di salvare 20 milioni di vite nel mondo e almeno 150mila persone in Italia (a fronte di quasi 7milioni di vittime e770 milioni di contagiati) . Più tranchant il prof. Massimo Galli – volto noto della tv specie durante la pandemia – per il quale questo Nobel “è una buona riposta a tutto il pattume pseudoscientifico sbandierato dai no vax” (Avvenire di martedì 3 ottobre). I toni sono forti ma la sostanza resta: ci sono state persone che, oltre a prendersi gioco di ricerca e scienza, spacciando per cure efficaci le soluzioni più varie (una per tutte la clorochina) hanno giocato con la salute di tutti coloro che li hanno seguiti tra ingenuità e paura del nuovo, dimostrandosi – per dirla con Manzoni -“ciarlatani che campano sulla credulità del prossimo”.

Oltre ad aver sbloccato il mondo, iI vaccino contro il covid fondato sull’mRna ha avuto il pregio di essere ideato in fretta (circa 11 mesi), ma – sia chiaro - solo perché gli studi erano avviati da anni, pur se finalizzati a sperimentare un vaccino anti cancro. La ricerca non è una lampada di Aladino che con quattro strofinate realizza i desideri più grandi. E questo Nobel dimostra una volta di più quanto siano fondamentali lo studio, la sapienza che ne deriva, l’intuizione dell’intelligenza come le tante risorse necessarie a sostenere i talenti dei ricercati, giovani o maturi che siano.

La motivazione della Fondazione per il Nobel ai due scienziati sottolinea come “le loro ricerche sono state rivoluzionarie perché hanno cambiato radicalmente la comprensione di come l’mRna interagisce con il nostro sistema immunitario”. Tanto è vero che negli Usa è stato da poco annunciata la sperimentazione di un primo vaccino mRna contro il melanoma.

Con questi vaccini cambia infatti la prospettiva di azione: se i vaccini precedenti si basavano sull’iniezione di un virus depotenziato che dava luogo a una risposta immunitaria lieve ma capace di renderci immuni dalla malattia, con quelli fondati sull’mRna vengono fornite al nostro corpo le istruzioni per riconoscere l’ospite indesiderato e quindi difendersi dallo stesso. Il tramite usato è la macromolecola dell’mRna messaggero.

I premiati sono entrambi legati all’università della Pennsylvania: lui ancora vi lavora, lei ha dovuto lasciarla qualche anno fa a causa dell’esaurimento dei finanziamenti destinati alle sue ricerche, poi continuate in Germania; comunque sia la sinergia è rimasta. Tra i 113 Nobel alla Medicina assegnati dal 1901 ad oggi, 13 sono state le donne premiate, 7 premi sono andati a studi legati al sistema immunitario. Questa è la seconda volta che il Nobel va ad un vaccino: nel 1951 lo vinse Max Theilen per quello contro la febbre gialla. Ma anche il primo Nobel per la Medicina, nel 1901, fu assegnato al tedesco Emil Adolf von Behring per il suo studio sulla sieroterapia e la sua applicazione contro la difterite.

Se fosse possibile un Nobel alla memoria, per la Medicina spetterebbe al nostro medico e microbiologo Carlo Urbani, l’uomo che intuì e bloccò a costo della sua stessa vita – ne morì infatti contagiato a Bangkok nel marzo 2003 – la Sars.

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