Racconto: Natale di oggi e Natale di una volta
Ieri: Alle 10.30 a Messa vestiti veramente a festa. Alle 12.30 il pranzo: antipasto (prosciutto, olive, acciuga, rotolino di burro). Poi tortellini in brodo, carne e verdure. E finalmente la tua fetta di panettone, aperto solo alla fine e mai assaggiato prima. Al pomeriggio giro per il paese a vedere i presepi e la miseria di certe case. Alla sera cena, si sentiva un po’ la radio un pezzetto di torrone e a nanna con nel cuore un felice Natale.
i avvicina il Natale con un nuovo, stracitato, approccio. Ci dicono che sarà un Natale diverso. Niente cenoni, niente allegre compagnie, niente abbracci, niente veglioni, niente corse sui campi da sci. Un Natale di sacrifici, diciamolo pure…. un Natale povero.
Nella mia solitudine di vecchio pediatra vedovo, con molto più tempo per pensare, ho voluto riandare ai miei Natali come in un film a ritroso.
Ricordo che in gruppo andavamo per i campi a muschio per il presepio. Sgarfavamo con le mani rosse, sanguinanti, con qualche gelone, per staccare le zolle piu’ grandi, più belle. I più furbi ogni tanto trovavano una rapa e se la mangiavano, contenti della nostra ammirata invidia. Giocavamo un po’ nei covoni del granoturco ( le nostre tende indiane) e poi piu’ infreddoliti che mai veloci a mettere mani e piedi nei forni delle stufe, ideali per lo spuntare dei geloni.
Alla sera andavamo al "missus" la novena di Natale.
Il mio paese era piccolo ma c’era l’organista e un piccolo coro, e"il missus est Angelus Gabriel" era stupendo: una voce narrante, poi la voce forte dell’Angelo: "Ne timeas Maria….", "quia non erit impossibile apud Deum" poi la voce dolce di Maria: "Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum…..".
La chiesa era piena, non si capiva ancora il latino. Ma era stupendo, nel silenzio freddo della sera. Uscivamo di chiesa a giocare felici per breve tempo, per il freddo.
Non c’erano panettoni né pandoro né torrone, esposti. Quelli li avrebbe visti il giorno di Natale, chi poteva averli.
Non c’era televisione, non c’erano vetrine, nessuna luminaria, nessun ramo o albero illuminato. Nelle strade solo la fioca luce dei lampioni (dove c’erano) e delle finestre.
Non si aspettava Babbo Natale ma Gesù Bambino.
L’avvicinarsi del Natale ti eccitava. Finalmente c’era il presepio da inventare e preparare, con la mangiatoia vuota e qualche raro albero di Natale, ancora spoglio.
Al mattino il giorno di Natale ti svegliavi presto, saltavi fuori dal letto, faceva freddo, avevi la stufa solo in cucina, che la nonna aveva appena acceso e correvi al Presepio e albero di Natale, con il cuore che batteva forte.
Nella mangiatoia c’era il Bambino e sull’albero appesi qualche mandarino, qualche arancio, noci e qualche pallina e candelina colorate. Non c’erano luci e lucette che brillavano e si accendevano e spegnevano in variopinti giochi. C’erano anche i doni in base ai quali dovevi sapere se eri stato buono o no.
Io mi sentivo imbarazzato perché figlio di un maresciallo dell’esercito e pochi amici di pari ceto, i più figli di contadini e di operai, in tutt’altre condizioni economiche e di vita e facevo due obiezioni a Gèsù la prima che mi portava sempre cose utili sciarpa, guanti, pantaloni..., la seconda che non portava i doni ai bambini buoni ma a quelli che potevano farseli comprare. Poi correvo nel letto di mamma e papà.
Alle 10.30 a Messa vestiti veramente a festa.
Alle 12.30 il pranzo: antipasto (prosciutto, olive, acciuga, rotolino di burro). Poi tortellini in brodo, carne e verdure. E finalmente la tua fetta di panettone, aperto solo alla fine e mai assaggiato prima.
Al pomeriggio giro per il paese a vedere i presepi e la miseria di certe case.
Alla sera cena, si sentiva un po’ la radio un pezzetto di torrone e a nanna con nel cuore un felice Natale.
Qui mi fermo a rivivere quella dolcezza, quella gioia quel tepore, magici e fantastici se cadeva anche la neve.
Poi il tempo incomincio’ a volare. Diventavamo grandi in fretta, la vita cambiava, arrivavano il benessere e il consumismo e mentre Gesù Bambino piano piano sbiadiva, avanzava Babbo Natale con la sua tuta, la sua slitta e le sue renne.
Anche i ricordi sbiadivano e senza alcun rimpianto, perché nessuno ce li faceva rimpiangere o ricordare. Vivevamo meglio.
Ora c’era il Cenone, l’affollatissima messa di mezzanotte vissuta spesso come parata, e forse il pranzo di Natale (dipendeva dall’entità del cenone). E ancora Babbo Natale. E luci, luminarie, suoni, colori, regali.
All’improvviso il grido preoccupato nella pandemia: Non sarà il solito Natale…niente cenoni, niente balli, niente abbracci, niente pranzi, niente balli, niente campi di neve. E io a sorridere:"Il mio solito Natale." Ma è un pensare al nostro stare bene, sereni? O ad aprire per dare giusto sollievo economico a quanti ruotano intorno al Natale?
E ora tu, nella tua solitudine, ora che hai tempo di pensare e ripensare, ti chiedi: "Ma ci siamo proprio ridotti così?".
Ma quel Bambino scende ancora dalle stelle, nasce ancora in una mangiatoia, al freddo e al gelo…" mia moglie e io non abbiamo mai partecipato a cenoni e alla messa andavamo alle 22 e a Natale in casa nostra c’era il pranzo con i congiunti. Abbiamo sempre fatto il presepio e anche l’albero di Natale.
Questo sarà il terzo Natale che farò da vedovo, senza mia moglie, lo farò coi miei figli e l’adorato nipotino, e pregheremo io e lui al davanti Gesù Bambino e mi chiederà ancora perchè è nudo nel freddo.
Cosa gli risponderò non lo so, quello che avrò dentro lo so e non potrò dirglielo, per ora. Ma se vorrà mettergli sopra come lo scorso anno un fazzoletto per scaldarlo, gli dirò bravo e una lacrima scenderà lungo la mia guancia.
Natale di sogni svaniti, di sogni inseguiti, cercati, voluti, ma non sempre avverati. Non più cori di angeli in cielo, la mangiatoia è vuota manca il bambino.
Non perdere la memoria, continuiamo a camminare in una notte buia, noi sempre qui con le nostre deboli luci, luci fioche di lucciole, ma da noi tenute forzatamente accese, alle volte tremolanti, incerte quasi moribonde quando si fa buio nella fatica del vivere, luci da non lasciare morire, luci da tenere tenacemente in vita, mai rassegnati, mai sconfitti, luci da unire per fare più luce, per illuminare le zone d’ombra, guardando in alto a cercare una Stella Cometa per non smarrire la strada e continuare fiduciosi il nostro cammino guidati a quella capanna dove, stiamo certi, ritroveremo quel Bambino, steso lì ad aspettarci.
Doveva essere la Festa del suo arrivo, del Suo Natale e invece sarà la festa del Suo ritrovamento.
Antonio Sabino
pediatra
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento