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I martiri di Auschwitz

La storia è maestra di vita, ma gli scolari non la stanno a sentire e così ripetono gli sbagli di chi è vissuto prima

La storia è maestra di vita, ma gli scolari non la stanno a sentire e così ripetono gli sbagli di chi è vissuto prima. Il mese di agosto ci riporta la memoria di tragedie che hanno segnato la storia dell’umanità e dovrebbero farci riflettere.
6 e 9 agosto 1945, terrificanti esplosioni atomiche in pochi istanti cancellano ogni segno di vita prima ad Hirhosima, poi a Nagasaki. Scene da fine del mondo.
Solo qualche giorno dopo il calendario ci ricorda altre vittime di quel conflitto. Il 13 agosto nel bunker della fame ad Auschwitz moriva Padre Massimiliano Kolbe. Qualche giorno dopo, il 19 agosto, ricorre l’anniversario della morte di suor Benedetta della croce, al secolo Edit Stein, che resta anche nei testi di filosofia antropologica per la sua teoria sull’empatia.
Ambedue erano prigionieri dei campi di sterminio nazisti, teatri di atrocità. Come scrive Primo Levi nel celebre Se questo è un uomo. "In quei terribili luoghi siamo tutti imbarbariti. I carcerieri erano belve e i detenuti, abbruttiti e incattiviti, non avevano più sembianza umana".
Il secolo scorso, il Novecento, sconvolto da due conflitti mondiali, trasformato dall’industrializzazione, segnato dagli imperativi della modernità e della post modernità, ha lasciato una traccia, una caratteristica tipica anche dal punto di vista spirituale.
Alcune grandi questioni del Novecento hanno segnato in maniera indelebile la visione spirituale della vita, il modo di pensare Dio e di relazionarsi con Lui.
Dopo aver attraversato il nichilismo, non solo pensato, ma anche realizzato, e aver assistito ai genocidi, ai campi di sterminio, visto il fallimento delle ideologie, ci sorprende l’angoscia del nulla.
Ancora oggi quando leggiamo le testimonianze di qualche sopravvissuto a quell’orrore o visitiamo qualche campo di sterminio e ricordiamo l’accaduto, sentiamo lo sgomento di una terribile domanda. Come è stato possibile? Quale potere maligno ha posseduto gli animi dei responsabili di quelle efferatezze? Perché Dio non ha fermato la mano del Male?
Proprio da queste terribili domande è partito il filosofo e teologo Hans Jonas nel suo celebre scritto: "Il concetto di Dio dopo Auschwitz". "Non si può più parlare di Dio allo stesso modo dopo Auschwitz". Mettendo in rapporto la tragedia di Auschwitz con il concetto di Dio, egli giunge a conclusioni paradossali. La Shoah non può essere intesa solo come fatto bellico. Essa rappresenta lo spartiacque tra ciò che è stato prima e ciò che sarà dopo. Jonas si spinge oltre affermando che lo sterminio degli ebei fa parte, non solo della storia profana, ma anche di quella sacra. Chiama in causa Dio. La tragica realtà obbliga a ripensare e a rielaborare il concetto di Dio da noi ricevuto dalla millenaria tradizione ebraico cristiana. Quale Dio ha permesso che ciò accadesse? Come ha potuto sopportare la tortura, l’umiliazione e lo sterminio di milioni di esseri umani?
In questi caldi giorni estivi sto leggendo un libro edito dalle Paoline in cui Giorgio Garrone tenta di rispondere alla tremenda domanda: dov’era Dio quando il male infuriava e i giusti soccombevano? Come nei primi secoli del cristianesimo Dio parlava ai pagani di Roma attraverso il sangue dei martiri, seguaci del crocifisso. L’uomo moderno, scrive Garrone, diserta le chiese, è insofferente verso il Dio dei teologi, ma l’annuncio del Regno dei cieli viene oggi proprio dai luoghi della violenza e dell’orrore con la testimonianza di padre Massimiliano che prende il posto di un altro condannato e muore nel bunker della fame pregando assieme agli altri reclusi. Etty Illesum, atea convinta, è proprio nel lager che incontra Dio e ci lascia pagine di alta spiritualità.
Seguendo la propria coscienza e aggrappandosi al vangelo molti trovarono la morte, una fine immediata per impiccagione, fucilazione, decapitazione o. più lenta, la corda che saliva e scendeva o attesa nell’inferno del lager. Se poi è vero che la prima figura subito associabile al santo Massimiliano Kolbe è quella di un beato, quasi contemporaneamente, l’austrico Franz Jager Stakler, ghigliottinato per essersi rifiutato di entrare nell’arma del Fhurer. In entrambi i casi maturarono in famiglia e furono esibiti davanti agli occhi con sentenza pubblica. L’elenco del martirologio dell’ultimo secolo, causato dalla barbarie nazista è lungo e incompleto.
Sugli altari o senza un riconoscimento, hanno scritto col loro sangue l’ultimo capitolo di quella storia "Atti dei martiri" che da duemila anni accompagna la storia della Chiesa, dove appare l’unità dei cristiani, di confessioni diverse, che magari non si sono mai conosciuti.
Personaggi conosciuti come il francescano Massimiliano Maria Kolbe, il carmelitano Alfred Delp, Edith Stein, il luterano Dietrich Bonoeffer, il vescovo ortodosso Gorazd, i parroci Joseph Metzinger, Francesco Rogagazaweski, Bernard Lichneper.
E per restare ai laici, i noti fratelli Hans e Shophie Scholl, i loro amici della "Rosa bianca", Cristoph Propst, Alexander Schmereli canonizzati dalla Chiesa ortodossa, i nostri Teresio Olivelli, Odoardo Moccherini, i veronesi Gedeone e Flavio Corrà (fratelli di Sennen, già Vescovo della nostra diocesi), ma anche innumerevoli altre vittime la cui storie devono essere ricostruite.
Ci stà lavorando da anni la commissione istituita dalla Conferenza Episcopale tedesca per osservare il dovere della memoria", come aveva chiesto Giovanni Paolo II nella "Tertio millenio ineunte".
I numerosi documenti finora emersi sono raccolti in un libro della San Paolo "Testimoni di Cristo".

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