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Cara maschera ti scrivo

Una parentesi spensierata nella vita che è quello che è

Cara maschera ti scrivo

Caro Pulcinella, scrivo a te e a tutte le maschere perché siamo nei vostri giorni (anche se la Quaresima è già iniziata, le sfilate non sono ancora finite), nei giorni in cui tutto vi è concesso, nei giorni in cui per scherzo si può fare di tutto. Un bambino di prima elementare di una scuola che conosco si riempiva la bocca d’acqua e annaffiava i compagni. Si giustificò: "E’ carnevale e ogni scherzo vale". Tu vedi quante bombolette di schiuma da barba si sacrificano per affermare i diritti del carnevale. Sul parabrezza di un’auto piuttosto sporca ho visto disegnato con la schiuma una frase; "Tieni duro, prima o poi pioverà". E questi sono scherzi innocui. Poi ci sono quelli fastidiosi e anche quelli criminali. Da Rio giungono ogni giorno notizie terribili. Tra una samba e una lambada qualcuno ci lascia la pelle. Le maschere nascondono i volti, i balli camuffano i movimenti, la musica ricopre gli spari e i canti coprono le urla.
E pensare che voi, maschere vere, non siete così. Tu Pulcinella, antica e nobile maschera, simbolo del tuo popolo napoletano, sei un guaglione, furbo sì ma anche ingenuo nella tua voglia di prendere la vita nel verso giusto in questi giorni in cui esplodono voglie e bricconate insieme. Per dimenticare. E’ una specie di decreto di sospensione dagli affanni e dalle fregature. Un rinvio fino al giorno delle Ceneri. Quel giorno passa il camion della nettezza urbana e gli operatori ecologici raccolgono queste illusioni, i segni di una fuga impossibile, la mascherina nera afflosciata e forse calpestata e ritorna la vita lucida del volto senza maschera. Povero Pulcinella, sarà già tanto se della tua maschera non si saranno serviti per preparare le ceneri da spargere sul capo dei devoti pentiti. Pentiti di che cosa? La vostra fortuna, vecchie maschere, è quella specie di fobia che ha presidiato tante cristiane coscienze per secoli e che è ancora in tanti cuori. Era come fosse peccato essere contenti. Non solo il piacere era peccato ma anche la gioia. Bisognava esser allegri, ma l’allegria è un dovere in certi giorni prescritti come Natale, Pasqua e la festa patronale. Guai a pensare all’allegria fisiologica. Doveva essere una conquista dopo vigilie di digiuni e astinenze.
Caro Pulcinella, ti scrivo da una casa di riposo per anziani e ti assicuro che nessuno dei miei amici in questi giorni di carnevale mette la maschera, lancia coriandoli e va a far baldoria. Il carnevale è riservato ai bambini che lo vivono come una ricreazione di spensierata allegria immaginando di essere chi il corsaro nero, chi uno sceriffo, chi una damigella e chi una fatina. In questa casa di anziani anche a carnevale abbiamo tutti le solite facce segnate dagli anni e dal disincanto.
In questi giorni mi fa bene una lettura che consiglio anche a chi mi legge su questo settimanale diocesano. Può farlo anche finiti i festeggiamenti di carnevale, stendendosi comodo sul divano, magari mettendosi, per entrare in clima, una vestaglia bianco arancione. Il libro che sto leggendo e che consiglio s’intitola "Budda e il suo meraviglioso mondo ", ediz   Rusconi.  Nella presentazione si legge che il buddismo non è una religione ma una via d’uscita dal dolore della vita La sua parola base è compassione Carlo  Coccioli che l’ha scritto sembra accettare un pensiero di Nietzsche che ha qualcosa di buono. Quando si va molto avanti  negli itinerari religiosi ogni tappa viene vista come un frammento, resta il discorso sulla compassione. Che sia questa la vera, ignorata origine  del carnevale?  Se non è questa, perché non facciamo finta che lo sia? La gran baldoria, una via di uscita dal  dolore della vita; effimera e sbagliata come una dose di droga  che crea dipendenza e ti lascia più stordito davanti alla realtà che ritrovi al risveglio.

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