Commento al Vangelo
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Domenica 24 novembre, Cristo re, commento di don Renato De Zan

"Oggi sarai con me in paradiso": così pur morente il Cristo sa accogliere e perdonare. Anche un ladrone, seppur "buono", appeso come lui alla croce

Parole chiave: Domenica (46), Vangelo (126), Diocesi (190), De Zan (47), Cristo Re (2)
Domenica 24 novembre, Cristo re, commento di don Renato De Zan

24.11.2019. 34° TO (Cristo Re)

 

Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

 

Oggi con me sarai nel paradiso

 

Tematica liturgica

La comunità cristiana contemporanea non sente più come primarie le motivazioni che in passato hanno portato alla creazione di questa solennità. Sente, invece, la grandezza della regalità universale e perenne di Gesù anche per il mondo d’oggi. Gesù, di fronte a Pilato, si è proclamato re: “Tu lo dici: io sono re” (Gv 18,37). Nel momento più alto della sua sconfitta umana, Gesù proclama la sua regalità e nella crocifissione egli viene proclamato re. Il concetto di regalità appare subito in tutta la sua grandezza e tragicità. Non si tratta di una regalità che s’impone sull’uomo, ma di una regalità che opera il bene supremo dell’uomo, la salvezza, anche quando questi non sa riconoscerla (vedi i capi, i soldati e un malfattore nel brano evangelico di oggi: Lc 23,35-43). La regalità di Gesù, dunque, si fonda sulla sua opera redentrice e non in un criterio umanamente pieno di consenso e di gloria. La seconda lettura (Col 1,12-20) illustra in modo chiaro il concetto, affermando che il Padre “ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati”. La seconda parte del vangelo è l’illustrazione più bella di questa regalità concepita come salvezza. L’altro malfattore, che il cristianesimo ha chiamato il “buon ladrone”, dopo aver confessato la sua identità (“Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni”) e l’innocenza di Gesù (“egli invece non ha fatto nulla di male”), si abbandona fiducioso al potere regale di Gesù: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù risponde: “Oggi con me sarai nel paradiso”.

 

Dimensione letteraria

Il brano di Lc 23,35-43 è un breve testo tratto dall’ampio racconto della passione di Luca (Lc 22,1-23,56). La Liturgia, togliendo il brano dal suo contesto originale è stata costretta ad aggiungere un incipit corposo: “In quel tempo, dopo che ebbero crocifisso Gesù…”. Il brano di Lc 23,35-43 è divisibile in due parti. Nella prima (Lc 23,35-39), scandita dal verbo salvare (Lc 23,35.37.39), sono riportati i titoli cristologici in forma speculare (v. 35: Cristo, l’eletto; v. 37: re; v. 38: re; v. 39: Cristo). Questi titoli, a loro volta, sono legati a due categorie di persone: capi e soldati da una parte, malfattore dall’altra. La seconda parte (Lc 23, 39-43) è dedicata alla confessione del buon ladrone (Lc 23,40-41) e al dialogo con Gesù (Lc 23,42-43). Tra la prima e la seconda parte c’è un crescendo: si passa dall’incomprensione (capi, soldati, malfattore) all’affidamento (l’altro malfattore), dal silenzio di Gesù verso chi lo oltraggia alla promessa di salvezza imminente (oggi) al buon ladrone.

 

Riflessione biblico-liturgica

a. Nel vangelo (Lc 23,35-43) si possono leggere due grandi antitesi. Nella prima, il popolo “stava a vedere” (il verbo greco “theorèo” indica lo sguardo che scruta e contempla per comprendere), mentre i capi, i soldati tranciano giudizi, provocatori e canzonatori, senza prima cercare di “vedere per comprendere”. Nella seconda antitesi, il primo malfattore si associa ai capi e ai soldati nel disprezzo di Gesù, mentre il secondo cerca di scrutare e di capire. Dalla sua comprensione nasce il dialogo salvifico con Gesù.

b. Nel monologo a più voci contro Gesù (Lc 23,35-39) c’è l’oltraggio contro Gesù e la rabbia della loro delusione per un messia (Cristo) sperato, ma rivelatosi opposto alle loro attese. Questa delusione è espressa al massimo grado dal malfattore, probabilmente è uno zelota: egli inveisce contro Gesù Messia perché incapace di salvare se stesso e gli altri dallo strapotere romano che li uccide.

c. Le parole di Gesù (“In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”) sono oggi fraintese volutamente da certi movimenti religiosi (“In verità io ti dico oggi: con me sarai nel paradiso”). Quest’ultima lettura è scorretta per due gravi ragioni. La prima ragione è fondata sulla critica testuale. In tutte le edizioni critiche (Wescott-Hort, Merk, Nesle, Bover, Aland, ecc.) non esiste questa interpunzione (“In verità io ti dico oggi:…”) , ma tutte hanno quella comunemente conosciuta: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. La seconda ragione è teologica. Nell’opera lucana il temine “oggi” indica sempre il giorno della salvezza. Se per il buon ladrone “oggi” è il giorno della salvezza, la frase non può indicare una salvezza solo promessa in un futuro indefinito.

 

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