Commento al Vangelo
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Domenica 12 maggio commento di don Renato De Zan

La fede nasce dall’ascolto, vive nell’esperienza di Dio e diventa testimonianza

Parole chiave: Buon Pastore (1), Vangelo (126), Diocesi (190)
Domenica 12 maggio commento di don Renato De Zan

Gv 10,27-30
In quel tempo, Gesù disse: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io dò loro la vita eterna e non andranno mai perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola".

Tematica liturgica
Il testo evangelico di Gv 10,27-30 contiene pur nella sua brevità, una ricchezza teologica immensa sul mistero della fede. Il linguaggio figurato si serve del modello "pastore - pecore del gregge" per indicare, secondo i canoni dell’Antico Testamento e in modo particolare dei profeti, il rapporto di amore protettivo e salvifico di Dio verso il suo popolo. Come una persona giunge alla fede? Che cosa la tiene unita a Dio? Perché crede? Che tipo di coerenza c’è tra la sua fede e il suo comportamento? Si salverà?
La fede nasce da lontano, nel mistero stesso di Dio. Dall’unità tra il Padre e il Figlio ("Io e il Padre siamo una cosa sola": Gv 10,30) scaturisce la capacità che Gesù ha di donare la vita a chi gli appartiene ("Io dò loro la vita eterna … e nessuno le strapperà dalla mia mano": Gv 10,28). Per appartenergli sono necessarie tre cose: ascoltare la sua voce (accoglienza di tutto ciò che egli dice, è e fa), lasciarsi conoscere da Lui (l’esperienza misteriosa dell’incontro con Lui attraverso le esperienze della propria vita, l’intuizione, la dimostrazione, l’incontro con la sua Parola, con un credente che fa da guida, ecc.) e seguirlo (impostazione della vita sulla imitazione di Gesù).
Ascoltare la Parola è il primo elemento essenziale per credere. Se Dio non parlasse, il credente morirebbe: "A te grido, Signore; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa" (Sal 28,1). Dio parla nella creazione, nella storia, nella Scrittura e, soprattutto, nel Figlio. Paolo aveva espresso questo concetto in un modo sintetico e preciso, tanto da diventare una specie di proverbio: "La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo" (Rm 10,17). È chiaro perché il Padre ripeta per ben due volte: Ascoltatelo (al Battesimo e alla Trasfigurazione). L’ascolto del Maestro porta alla sua conoscenza (approccio serio alla lettura dei vangeli e di tutta la Scrittura, attraverso scienza e preghiera con la guida della Chiesa, esperienza di Lui nella vita quotidiana perché niente succede per caso). Senza la conoscenza di Lui, la fede cristiana arrischia di essere solo un romanticismo fragilissimo. La conoscenza di Lui porta all’imitazione di Lui. Diventa evidente, dunque, come la fede si traduca in atteggiamenti vitali e quotidiani di testimonianza e si comprende molto bene quanto sia debolissima l’affermazione "sono credente, ma non praticante". Solo a queste condizioni e con queste caratteristiche la salvezza diventa comprensibile e possibile. Gesù promette solennemente che questi suoi discepoli non andranno perduti e nessuno li strapperà dalle mani del Maestro.

Dimensione letteraria
Il testo evangelico di Gv 10,27-30 è un piccolo frammento del discorso di Gesù sul buon pastore, più precisamente sul legame che intercorre tra il pastore e le sue pecore (cioè tra Gesù e i suoi discepoli). L’incipit è prettamente liturgico ("In quel tempo, Gesù disse…"). Pur essendo un testo biblico molto breve, il brano evangelico si può scandire in tre momenti che rappresentano altrettante esperienze capaci di fornire piste vere di risposta alle domande che ruotano attorno alla fede. Il primo momento, infatti, è dato dalla sequenza "ascolto-conoscenza-sequela" (Gv 10,27). Il secondo momento riguarda la sequenza "dono della vita eterna - sicura appartenenza a Cristo" (Gv 10,28). Il terzo momento rappresenta la radice dei due legami "Gesù e il Padre, una cosa sola" (Gv 10,29-30).
La prima lettura (At 13,14.43-52), in dialogo con il vangelo, presenta l’episodio di Antiochia di Pisidia, dove i Giudei respinsero la Parola: "Poiché la [Parola di Dio] respingete - disse Paolo - e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani". Respingere la Parola equivale a respingere la vita eterna. Nella storia molti hanno accolto e accoglieranno la Parola: "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua" (2° lettura, Ap 7,9.14b-17).

Riflessione biblico-liturgica
a. I tre verbi "ascoltare-conoscere-seguire" sono la sintesi evangelica per illustrare la nascita della fede, il suo fermo ancoraggio a Cristo e la sua traduzione in testimonianza quotidiana.
b. L’ascolto porta alla fede e la fede è operante (sequela, imitazione). La sequela è imitazione di Cristo in tutto ciò che è possibile al credente nella situazione concreta in cui Dio lo pone. Nella sequela il credente non è ripetitore di ciò che Cristo è stato, ha detto e fatto. Avendolo ascoltato e conosciuto, il credente sa, intuisce, percepisce, coglie, costruisce, secondo la maturità della propria fede, che cosa Cristo farebbe al posto suo in ogni situazione del vissuto.
c. Se il credente dovesse perdersi, Dio non resta inattivo. Come il pastore cerca la pecora smarrita o la donna, la moneta perduta (cfr Lc 15), così Dio cerca il figlio che si è perso. Le pecore del gregge di Gesù "non andranno mai perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano".

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