Pordenone
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Intervista al Prefetto di Pordenone: Si impone la questione giovani tra giovanissimi

Entrata giovanissima in Polizia, Maria Rosaria Maiorino è stata la prima donna a dirigere una squadra mobile (Cagliari), prima donna questore a Grosseto a Foggia e a Palermo. Nel 2015 a Roma è la prima donna a dirigere l’Ispettorato Vaticano. Dal luglio 2018 è  Prefetto a Pordenone

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Intervista al Prefetto di Pordenone: Si impone la questione giovani tra giovanissimi

  Questione sicurezza: dove starà la verità? In bilico tra recentissime classifiche nazionali - che decretano Pordenone seconda città più sicura d’Italia - e la sua percezione, oscurata da cronache che sbattono tensioni a piena pagina e trattano migranti e droga come problemi di estrema urgenza. Sono questi i problemi della città e del territorio? Abbiamo cercato una fotografia realista della situazione dal colloquio con il prefetto di Pordenone, Maria Rosaria Maiorino. Una donna dai tanti primati professionali (vedi a seguire ndr.) e con una capacità di dedizione totale alla professione scelta, che li ha motivati e meritati. Un tutore dell’ordine che, prima da questore e ora da prefetto, ha girato l’Italia da Palermo a Bolzano, maturando tante e diverse esperienze.

Sicurezza: qual è la situazione di Pordenone e quali le fragilità del territorio?
Sono qui da un anno e mezzo. La prima impressione, nel girare per la città e conoscere la provincia, è stata di trovarmi in una terra di gente operosa e laboriosa, temperata, che non si lamenta nè si piange addosso ma si rimbocca le maniche. Ce lo dice il passato del terremoto: qui non ci si è fermati a piangere. Continua oggi: ero qui da pochi mesi quando, a fine ottobre 2018, a seguito della tempesta Vaia ho fatto il giro tra gli alluvionati. Ho visto anziani che, 24 ore dopo, erano già a spalare il fango senza piegarsi e proprietari saliti sui tetti rovinati dal vento per ripararseli.
E Pordenone città?
Pordenone è una città pulita e ordinata, abitata da gente con un profondo senso civico che contribuisce al mantenimento di un ordine pubblico che non presenta particolari criticità. Una mia prima impressione determinata anche dal fatto che venivo da realtà molto difficili come Palermo e Foggia, dove questo senso civico purtroppo non è così diffuso, dove la criminalità è cruenta e sanguinaria e la gente è rassegnata. Bisognava dimostrare con i fatti che lo Stato c’era e operare con i cittadini per la diffusione della cultura della legalità. Lavoro che qui non è richiesto.
Ha poi mantenuto la prima impressione?
Nei mesi successivi ho confermato la prima impressione. La gente ha un senso civico sviluppato ma proprio per questo è esigente, ha un alto livello di qualità della vita ed esige mantenerlo.
Nessuna criticità?
Ho riscontrato delle criticità dovute alla crescita e all’evoluzione della provincia stessa. Il fenomeno della droga è molto diffuso. Dall’operato anche recente della polizia è emerso che l’età dell’uso si è abbassata notevolmente.
Droga tra i giovani o giovanissimi?
Siamo attorno ai tredici anni. Dobbiamo tutti farci un esame di coscienza di fronte a questo: i giovani vanno seguiti e monitorati con attenzione. Siamo noi adulti che dobbiamo intercettare i loro interessi, interpretare il loro linguaggio e il loro silenzio. Molto spesso i ritmi della vita ci portano a non tener conto delle loro esigenze e talvolta i genitori sono portati ad essere amici, complici, confessori dei figli, ma così si rinuncia di fatto alla potestà.
Droga a 13 anni è grave. Ci può dire di più?
La distinzione tra droga pesante e droga leggera va eliminata. L’hashish fa male quanto l’eroina. A 13 anni per restare nel gruppo ti fai la canna. Ma poi, lo dico per esperienza vissuta, non vale il principio "smetto quando mi pare". Sono stata dieci anni nella narcotici e ho avuto, seduti davanti a me, tanti giovani che mi parlavano di smettere. Ma non andava così.
La droga è il problema più importante per questo territorio?
E’ un problema, sì. Le forze di polizia lo confermano con operazioni che hanno portato ad arresti e sequestri. Ma conta agire a 360° al fine della prevenzione che è la prima cosa. Abbiamo quindi coinvolto forze di polizia, mondo della scuola, azienda sanitaria: tutti concentrati sull’obiettivo prevenzione (vd. Protocollo sottoscritto a pag.8).
Nel suo curriculum c’è la lotta alla droga con operazioni importanti.
Ho diretto la squadra narcotici a Cagliari, conosco bene il fenomeno. So che la droga è un mattone trainante altro: induce il singolo alla rapina e il sistema agli omicidi per il controllo del territorio.
Sicurezza reale e percepita: la microcriminalità allarma con le sue azioni forse meno pericolose ma vicine alla gente.
L’anno scorso c’è stata una escalation di furti in appartamento. Questo crea un allarme sociale che non ha ragione di essere. A Sacile, ad esempio, ci sono stati una serie ravvicinata di furti d’appartamento, poi si è scoperto che ne era responsabile una banda di albanesi. Abbiamo intensificato i servizi e la risposta del territorio c’è stata.
Questione migranti a Pordenone.
Un anno e mezzo fa erano oltre 900. Il sistema di accoglienza diffuso funzionava bene. L’emergenza era passata, i migranti erano distribuiti su tutto il territorio. Oggi, per le strategie politiche e governative fatte, non ci sono più quei numeri: sia perché gli sbarchi sono diminuiti, sia per l’attenta vigilanza sui richiedenti asilo. Coloro che, in regime d’accoglienza, si rendevano responsabili di comportamenti violenti o aggressivi o non osservavano le norme comportamentali stabilite, non hanno più fruito dell’accoglienza, essendo stati adottati nei loro confronti provvedimenti di revoca. Sono aumentati i provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale con accompagnamento in frontiera degli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno.
Oggi quanti migranti ci sono in questo territorio?
Sono ridotti di un terzo, si trovano in case sparse in tutta la provincia, in accoglienza diffusa. Sono tranquilli, il sistema continua a funzionare. Non abbiamo grosse problematiche in questo settore; alcuni sono anche ben integrati.
Quanti attendono lo status di rifugiato?
Sono circa 340. La procedura è lunga: serve circa un anno e mezzo.
Ogni tanto si parla di bivacchi.
Abbiamo accertato che è un concetto relativo. Ci sono state persone che si trovavano per vari motivi fuori dal programma di accoglienza e, pur essendo loro stata offerta, preferivano dormire nel parco o per strada, senza sapere che questa non è una condotta che si può tenere. I servizi sociali del comune si sono attivati come di competenza e hanno trovato una sistemazione: ora quelle persone mangiano alla Locanda e hanno un posto per dormire.
E’ un altro fronte su cui si lavora in rete.
Sì e nasce da questo senso civico inter istituzionale. Si fa squadra, ci si confronta. C’è un Comitato provinciale di ordine e sicurezza pubblica che si riunisce una volta la settimana: ci incontriamo con questore, comandi provinciali di carabinieri e guardia di finanza, a volte anche i sindaci o gli organizzatori di eventi. Si guarda al quadro reale, si lavora in sinergia: i problemi si risolvono in squadra, senza protagonismi.
Avete lavorato così anche per Pordenonelegge?
Dall’anno scorso per Pordenonelegge si è rodato questo sistema: abbiamo applicato la circolare Gabrielli, anche andando contro le resistenze del "qui si è fatto sempre così". L’imprevisto è dietro l’angolo: la situazione era quella di una crisi internazionale, di un rischio terrorismo e di una manifestazione da cento-centocinquantamila persone. Non è mia intenzione stravolgere un territorio ma ho dovuto imporre misure di sicurezza pur senza militarizzare la città. Poi gli organizzatori ci hanno ringraziato per la tranquillità con cui tutto si è svolto e per la discrezione delle forze presenti.
Nella sua carriera è una donna dai molti primati: è un esempio che l’impegno premia. Oggi anche le donne.
I tempi sono molto cambiati rispetto ai miei inizi. Sono stata in Polizia per 38 anni. Vi sono entrata nell’80, quando le donne erano molte meno. Sono entrata come ispettrice di Polizia femminile, avevo competenza per i reati commessi da donne e donne minorenni. Poi ci fu una riforma della Polizia e cambiarono le cose. Quando nel luglio del ’90 fui trasferita a Cagliari, fui la prima donna assegnata a una squadra mobile, poi divenni dirigente alla sezione narcotici.
Prima donna responsabile di una squadra mobile: come andò?
La donna allora era messa sotto esame ogni giorno e ogni giorno doveva dimostrare di essere valida quanto i colleghi maschi. Io la vissi come una sfida: non mi è mai piaciuto perdere. Mi imposi di non arrendermi e così è stato, complice il lavoro che mi appassionò. La mobile è un lavoro che ti prende tutto e tutto il tempo. E quei vent’anni, tra l’81 e il 2001 hanno fatto di me quello che sono: mi hanno insegnato a non piangere sulla spalla di un altro, non mettere la testa sotto la sabbia, guardare in faccia ogni problema.
Dopo i primi tempi, comunque, i collaboratori hanno visto come lavoravo e letteralmente mi adoravano, divenni un punto di riferimento. Io che all’inizio a Cagliari ero una ragazzina - perché ero molto giovane - che dava disposizioni a colleghi di lunga esperienza. All’inizio, io davo disposizioni e loro chiedevano conferma al dirigente dell’ufficio. Invece alla fine si collaborava in tutto, mi chiamavano a qualsiasi ora, ero la valvola di sfogo, ne raccoglievo anche le preoccupazioni familiari.
Prefetto o prefetta?
Personalmente mi è indifferente: il ruolo non ha sesso. La mia forza deriva dal fatto che questo lavoro è partito da difficoltà iniziali alle quali ho reagito dando tutto. Amo questo lavoro dal primo giorno. Ha comportato tanti sacrifici: riuscirci è stato bello, vario, appagante. Per questo non sento la fatica di un impegno che non ha orario.
Ripercorriamo le altre tappe della sua carriera?
Dopo Cagliari venni come prima donna vicario a Belluno, poi a Bolzano come vicario e lì fui promossa a prima donna questore, destinazione Grosseto. Sono rimasta la prima e unica donna questore per un anno. Nel 2010 divenni questore a Foggia: un’esperienza bellissima quanto tostissima e impegnativa per una situazione di criminalità devastante e cruenta dovuta alla mafia del Gargano. Esperienza dura, dopo la quale venni promossa come primo questore donna a Palermo, nel 2013, altra esperienza molto bella e unica. A Palermo ad ogni passo c’è la storia che ti cade addosso.
E poi ancora un cambiamento nel 2015: Roma, prima donna a dirigere l’Ispettorato Vaticano per la vigilanza di piazza San Pietro, del Santo Padre sia in sede sia quando si sposta sul territorio nazionale.
Un salto enorme...
Dalla legge violenta della strada sono stata proiettata in un mondo sconosciuto, fatto di equilibri fragili, di diplomazia. Un mondo che ho imparato a conoscere pian piano. Prima donna in Vaticano: un’esperienza straordinaria, unica, speciale.
Aveva occasione di vedere papa Francesco?
Avevo con lui frequentazioni quotidiane. Dico solo che è molto più speciale e unico di quanto già non appaia in televisione. Ha una tale luce negli occhi.
Lo sente ancora?
(Il Prefetto annuisce appena, un accenno di sorriso - ndr.). Parliamo di allora. Faccio mia culpa perché avevo per lui la stessa apprensione che ho per mio padre, sentivo e sento un affetto filiale. E lui era paterno con me: una volta andai a prenderlo all’aeroporto e lui che vide la mia aria stanca, disse: "Che fai qui? Vai a casa. Faccio da solo". Disarmante.
Un episodio che le è rimasto in cuore?
Tanti. Il Santo Padre ama il profilo basso. Non ama la visibilità ma il contatto diretto con la gente. Un episodio che lo rappresenta: durante un’uscita aveva saputo che c’era un campo dove vivevano famiglie di latino-americani. Ci voleva entrare, ma non era programmato. Non immaginando la reazione delle persone, avevamo deviato. Ma capivo che lui ci teneva e che voleva fosse un suo incontro personale con quella gente. Lo ascoltammo. I ragazzi dell’Ispettorato lo controllavano, ma a una certa distanza. Finì che queste famiglie impazzirono letteralmente di gioia e lui si fermò là a chiacchierare, a farsi i selfie, a scambiare battutine e sorrisi. Come un parroco che incontra la sua gente. Ne fu felicissimo. La sera mi ha ringraziato per averlo lasciato vivere da solo quel suo desiderio. Lo avevo fatto un uomo felice, così mi disse.
Mafia a Nordest: è il titolo di libri e articoli di giornale; don Ciotti è stato sul territorio a parlarne. Com’è la situazione?
I segnali non vanno trascurati ma da qui a fare certe dichiarazioni ne passa. L’importante è adoperarsi prontamente e impegnarsi a tutto tondo, mettersi in rete, non abbassare il livello di attenzione.
Lei ha operato da Palermo a Bolzano: ogni geografia impegna in maniera diversa?
Sì, ogni situazione esige una precisa risposta. E ogni posto ha una sua realtà da gestire: Grosseto è una realtà medio piccola, diciamo simile a Pordenone. Due realtà con profondo senso civico, con il rispetto delle istituzioni: aspetti che consentono di fare ordine in maniera totalmente diversa che a Palermo o Foggia, dove ci sono ben altre problematiche. A Foggia c’erano tanti omicidi, rapine, bande chiodate, kalashnikov.
Si apre il 2020: obiettivi per il nuovo anno?
Squadra che vince non si cambia. Le statistiche danno Pordenone come seconda città d’Italia per sicurezza (Indagine del 25 novembre, Sole 24 Ore, Indice di criminalità: Pordenone è al 105° posto su 106). Con questo risultato si mantengono gli impegni.
Simonetta Venturin

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