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Giovedì 6 ottobre: Don Giosuè Tosoni "Quello che mi ha dato non si vede"

Alle 20.30 in sala parrocchiale a Torre (parr. santi Ilario e Taziano) per Ascoltare Leggere Crescere don Giosuè Tosoni presenta il suo romanzo "Quello che mi hai dato non si vede" in dialogo con Simonetta Ventuin, direttrice de Il Popolo

Giovedì 6 ottobre: Don Giosuè Tosoni "Quello che mi ha dato non si vede"

Riportiamo per l'occasione l'intervista a Don Giosuè Tosoni apparsa in un precedente numero de IL Popolo, uscita in occasione della pubblicazione di "Quello che mi ha doto non si vede". presentato giovedì 6 ottobre ore 20.30 in parrocchia a Torre (Santi Ilario e Taziano). Il volume è una intensa riflessione sulla Chiesa. Ma chiediamolo a lui direttamente.

Don Giosuè, come mai un secondo romanzo dopo "Ciao, ci vediamo a mezzogiorno"?
Dopo il primo, concentrato sulla vita di Gesù e sul fascino che lui diffonde attorno a sé fino a determinare un rapporto di fiducia senza ombre, il secondo si incentra sulla Chiesa o l’eredità da lui lasciata, perché possa nel tempo continuare a farsi sentire, a incontrare gli uomini di ogni tempo e latitudine, garantendo loro una prospettiva di vita vincente.
Il titolo è quanto mai particolare...
E’ accaduto qualche cosa di simile a quello capitato per il primo romanzo. Allora il saluto di un marito che parte per il lavoro, "Ciao, ci vediamo a mezzogiorno", detto con un tono che ha suscitato un certo imbarazzo alla moglie, ora invece il titolo riprende la risposta data da una "nipote" - la nipote adottata - di rientro da Lourdes ad una sorella che le chiedeva con un atteggiamento provocatorio: "Come mai non sei ritornata guarita?". E Lei, di nome Bertilla: "Quello che mi ha dato non si vede", riferendosi ben s’intende alla Madonna.
Dodici nipoti, compresa la nipote acquisita: come mai quest’idea di parlare della Chiesa attraverso un dialogo con i suoi nipoti?
Non sono uno scrittore di romanzi, anche se mi sono servito di questo genere letterario per dire alcune cose, prima su Cristo e ora sulla Chiesa, in maniera meno scolastica, più diretta.
Ho capito che questo genere di comunicazione ha bisogno di uno sfondo che unisca le varie considerazioni. Fra le tante, ho ritenuto opportuno, dato anche il mio rapporto con i nipoti, di affrontare varie questioni sulla Chiesa tenendo presente il loro modo di riferirsi alla Chiesa o loro specifici momenti di vita, come la nascita di un figlio, per aprire una riflessione in proposito.
Pur riferendomi a loro, compilando il libro con capitoli che portano ciascuno il nome di un nipote, non racconto direttamente di loro se non per la parte che riguarda la Chiesa. Per tanti motivi, anche per il rispetto della privacy.
Per questo, mentre i nomi di fatti e avvenimenti e persone a cui mi riferisco sono reali, quelli dei nipoti non corrispondono ai loro veri nomi. Ad eccezione di una, Bertilla, la dodicesima nipote.
Anche i numeri sono importanti. Riguardo ai nipoti: dal romanzo risulta che ce ne sono undici, ai quali lei ha ha aggiunto Bertilla. Come mai? Le piaceva il numero dodici?
La ringrazio di questa domanda, perché mi permette di fare alcune chiarificazioni. All’inizio, non ho pensato al numero dodici, ero più preoccupato di inserire nell’elenco Bertilla, per la sua storia speciale alla quale ero particolarmente affezionato.
Poi però, dato il valor simbolico del numero dodici, mi sono detto: "Guarda un po’, dodici nipoti come i dodici apostoli". Da qui il timore di un rapporto esagerato e anche la suggestione di collegare le mie riflessioni sulla Chiesa all’ultima cena e quindi il ricorso al pittore Stefano Ius per la copertina. Stefano, un amico oltre che un bravo pittore, insegnante alla scuola di mosaico di Spilimbergo, si è dato da fare come non mai, tenendo presente la tradizione in merito. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nel testo vengono riportati, capitolo per capitolo, i vari passaggi da lui seguiti per arrivare al quadro finale. Anche questo è un elemento che può impreziosire ulteriormente il romanzo.
Impreziosire il suo romanzo: vuol dire che lei è soddisfatto del risultato?
Ripeto, non sono uno scrittore di romanzi ma mi attira questo genere letterario per riflettere su alcuni temi che di solito vengono trattati in luoghi e ambiti specialistici. Più che soddisfatto, sono contento di poter favorire una riflessione più ampia sulla Chiesa. Se ne parla tanto anche oggi, nonostante stia passando un momento delicato e difficile, forse proprio per questo, del resto in sintonia con un mondo in difficoltà, fra non pochi cambiamenti e tante incertezze.
Per una riflessione più ampia e più libera, dentro il processo di "sinodalità" che, a seguito dell’invito di papa Francesco, sollecita a non stare a guardare, a dire la propria, a partecipare. Se anche questo romando servisse a questo, ben venga.
Un mondo in difficoltà. Come non leggervi anche la guerra in Ucraina?
Anche per questa domanda le sono grato. Il testo era già definito e pronto per la stampa, quando arrivavano due notizie, molto diverse l’una dall’altra, anche se attese: con immensa gioia l’una e con angosciante preoccupazione l’altra.
Il 24 febbraio 2022 scoppiava la guerra in Ucraina e verso le cinque della sera nasceva Mattia, figlio di Elena e Riccardo, un mio nipote.
Nello stesso giorno si poteva essere tristi e si poteva essere contenti, come era capitato a me. In contemporanea la vita si presentava con il volto drammatico della morte e il rombo dei cannoni e con il volto gradevole della vita e il vagito di un bambino.
Il testo non aveva però bisogno di essere rivisto. In tanti colloqui fra lo zio prete e i nipoti ricorreva il tema della pace, in sé e come simbolo di tutti i beni che la vita può mettere a disposizione di ciascuno. L’attualità del romanzo non veniva meno, al contrario. A buon diritto poi il romanzo veniva dedicato a Mattia e, attraverso lui, a tutti i bambini esposti alla vita in quel giorno.
Le sarà costato tanta fatica oltre che tanto tempo portare a termine anche questo altro suo scritto. Deve ringraziare qualcuno?
Sì, la fatica è stata tanta, anche perché il tempo a disposizione è sempre poco, scrivendo nei ritagli di tempo. Mi hanno aiutato la vita concreta di ogni giorno, buone letture, l’insegnamento della teologia, soprattutto il ministero di parroco.
I ringraziamenti sono tanti e vanno dal pittore Stefano Ius a chi ha letto le bozze (Donatella Del Zotto, Francesca Della Schiava, Chiara Vazzoler), a Simonetta Venturin per la sua puntuale e pertinente prefazione, alla tipografia Mascherin e ai tanti che fanno da sfondo alle varie storie raccolte, agli undici nipoti, anzi dodici, in particolare a Solidea Tavan, sorella di Bertilla, per le informazioni ricevute.
Poi un grazie più generico, ma non meno doveroso, a chi nel tempo mi ha aperto la strada che conduceva alla Chiesa e ai lettori degli altri miei libri che, con il loro apprezzamento, hanno incoraggiato ad andare oltre, tentare altre avventure, altri tornanti, altre sorgenti.
In chiusura: perché lo zio prete del romanzo si chiama don Paolo?
Come il primo romanzo lo riferivo a don Pierluigi Mascherin, questo ad un altro amico prete, che ho stimato e apprezzato per l’amore per la Chiesa e per il coraggio espresso nel suo stile pastorale. Con una differenza: il riferimento a don Pierluigi teneva presente aspetti specifici del suo ministero, in particolare come collega nell’insegnamento in Seminario, il riferimento a don Paolo è più di riconoscenza.

La redazione

Giovedì 6 ottobre: Don Giosuè Tosoni "Quello che mi ha dato non si vede"
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