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Omelia del Vescovo Giuseppe Pellegrini, Messa del giovedì santo In Coena Domini

Una vita donata fino alla fine: questo è il messaggio lasciato da Gesù

Parole chiave: Giovedì santo (6), Pasqua (36), Messa (17)
Omelia del Vescovo Giuseppe Pellegrini, Messa del giovedì santo In Coena Domini

+ Giuseppe Pellegrini, vescovo

La prima lettura ci presenta la Pasqua dei giudei. Originariamente era una festa dei pastori che celebravano la nascita, a primavera, delle pecore; successivamente diventò il ricordo e la memoria del passaggio (pasqua) dalla schiavitù in Egitto alla libertà nella terra Promessa, per l’antico Israele salvato da Dio che si rivelo come unico Signore. La Pasqua ebraica è il ricordo di una notte trascorsa nella veglia, perché in quella notte è nato il popolo del Signore. Nel rito descrittoci dall’Esodo il sangue dell’agnello era asperso sugli stipiti delle case. Il sangue del vero Agnello, Gesù, deve essere bevuto ed entrare nei nostri corpi e nella nostra vita per trasformarla e renderla dono ai fratelli. Giovanni, nel Vangelo nomina la Pasqua degli Ebrei, ma non la fa coincidere con l’ultima cena, perché la vera Pasqua è quella di Gesù che celebrerà con la sua morte sulla croce. Con la celebrazione di questa sera entriamo nel cuore dell’Anno liturgico, il grande Triduo Pasquale, che ci riporta idealmente nel Cenacolo, dove Gesù, riunito con i Dodici per la sua ultima cena pasquale, istituisce l’Eucaristia e il sacerdozio che perpetuerà nei secoli il sacrificio eucaristico, donando ai suoi discepoli il nuovo comandamento dell’amore reciproco. Ce lo ha ben ricordato san Paolo nella seconda lettura: “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane, e dopo aver reso grazie lo spezzò dicendo: questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me” (1 Corinzi 11,23-24). Per comprendere meglio il significato delle parole di Gesù, è necessario partire dall’inizio del Vangelo di oggi: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (13,1). E perché non restino solo parole, la Pasqua antica trova il suo compimento nella morte in croce di Gesù, significata nella lavanda dei piedi, dove Gesù manifesta il suo amore ai discepoli con un gesto che va oltre ogni misura! Il gesto della lavanda dei piedi evidenzia in maniera concreta e visibile la logica dell’amore che si fa servizio verso gli altri, svelandoci così l’immagine di Dio, Padre e misericordioso. Quanto bene ha fatto e quanto ci ha commosso, vedere papa Francesco chinarsi e baciare i piedi dei potenti del Sud Sudan, indicando così la strada del servizio e trasformando in vita vissuta e realtà la lavanda dei piedi che anche noi fra poco rivivremo. È un chiaro invito a credere che la strada del dono della nostra vita e del servizio ai soffrenti, è l’unica via per vincere l’odio, gli interessi di parte e l’egoismo, e così superare i conflitti e portare la pace nel mondo. 

 L’Eucaristia diventa così, anche per noi oggi, il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo di Gesù, il suo donarsi fino alla fine nella morte, anticipato nel banchetto eucaristico, pane spezzato e vino versato, per la nostra salvezza. Grazie all’Eucaristia l’evento della morte e risurrezione di Gesù non è solamente il ricordo di un fatto confinato nel passato, ma viene reso presente per la vita e la salvezza di ogni persona, in ogni luogo e tempo, come amore infino di Dio per l’umanità. Ci ricorda papa Francesco che Dio ama fino alla fine e dà la vita per ognuno di noi perché Lui è amore. Non è facile per noi amare fino alla fine, perché siamo peccatori, perché tutti abbiamo dei limiti e dei difetti. Tutti sappiamo amare, ma non siamo come Dio che ama senza guardare alle conseguenze, che non è preoccupato di cosa gli altri pensano (cfr. omelia Giovedì Santo 2017). Tale amore pone Gesù alla periferia ultima dell’umanità, perché si fa schiavo degli altri. Gesù compie un gesto di annientamento di sé, non trattenendo nulla, neppure la dignità della sua persona.

 Racconta l’evangelista Giovanni che nel compiere il gesto della lavanda dei piedi, Gesù “si alzo da tavola, depose le vesti e … quando ebbe lavato loro i piedi riprese le vesti” (13, 4.12). Gesù, nel presentare la sua missione, ci ha proposto l’immagine del Buon Pastore che depone la sua vita nella morte, per poi riprenderla di nuovo nella risurrezione (cfr. Giovanni 10,17-18). Lo spogliarsi e poi il rivestirsi è simbolo di quella morte e risurrezione di Gesù che si compirà di lì a poco nell’ultima cena come servizio verso i discepoli. Lui compie il suo servizio donando la propria vita fino alla fine per tutti noi. E questo gesto diventa fondamento dell’agire dei discepoli e di ogni cristiano: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (13,15). Donare la vita per i fratelli diventa la carta d’identità dei discepoli di Gesù. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13, 35). Scelta impegnativa se fosse affidata solo alle nostre forze o alla nostra volontà; ma possibile sull’amore di Cristo che ci viene offerto nell’Eucaristia che celebriamo.Ricordiamolo: la grandezza di Cristo e quella della Chiesa e dei cristiani si rivelano nel servizio, nell’amare i fratelli fino alla fine!

 

 

                                                                      

                                                         

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