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Il battesimo: un tallone di Achille?

Sono state tante le reazioni al gesto dell’autobattesimo di Achille Lauro a Sanremo. Una parte del fronte cristiano si è sentito provocato a reagire.

Parole chiave: Achille Lauro (1), Battesimo (2)
Il battesimo: un tallone di Achille?

In questi giorni sono state tante le reazioni al gesto dell’autobattesimo di Achille Lauro a Sanremo.
Una parte del fronte cristiano si è sentito provocato a reagire. Lo scorso 6 febbraio Alessandro D’Avenia è intervenuto con un profondo e delicatissimo articolo dedicato al tema della vita eterna, rimettendo a fuoco il senso del rito battesimale: è un gesto che si riceve e non ci si dà, come la vita; è un momento di rinascita ad una dimensione di vita eterna, come la chiama il vangelo di Giovanni, poco coincidente con la sola vita biologica e fisica. D’Avenia, intriso di cultura letteraria, non manca di legare attorno al nome ’Achille’ l’omonimo personaggio omerico con il performer sanremese, ricordando a tutti che il mito greco aveva dipinto quell’eroe forte e imbattibile, ma terribilmente vulnerabile a causa del suo tallone, rimasto scoperto mentre veniva immerso nel fiume Stige per essere rivestito dalla protezione dell’immortalità.
Il nostro tallone, afferma sempre D’Avenia, è la morte, il punto debole di ogni esistenza umana. Di fronte ad essa non ci sono immersioni in acque prodigiose che possano salvarci. Nemmeno per i supposti ’eroi’ o ’miti’ del nostro tempo.
Il battesimo cristiano ricorda che l’immersione non è solo nell’acqua, ma nella morte e risurrezione di Cristo.
San Basilio Magno (330-379) chiamava il fonte battesimale sepolcro liquido: ci si sprofonda in esso volontariamente per imitare e partecipare dello stesso Figlio di Dio, il quale si è offerto, liberamente, come nostro fratello e maestro, accettando anche di salire sulla croce. Come non ci si dà la vita, così non ci si procura la morte.
Il battesimo, in quanto immersione nella Pasqua di Cristo, ribadisce che la morte non si può evitare, perché non è un punto di vulnerabilità che mette in gioco tutto il resto della vita umana. Ci si può immergere dentro, con lo spirito di chi, come Cristo, ha abbracciato la debolezza umana per farla diventare luogo di solidarietà e condivisione. Nella morte di Cristo non siamo soli, è lui che ci prende per mano per condurci a quella vita che è eterna, perché non muore più. Guidati da lui, si riemerge dalle acque e si comincia a respirare, cioè a vivere, con la certezza che la solitudine, alla quale la morte ci condanna, non è un destino ineluttabile. Con la sua morte, Cristo abita tutte le nostre morti, così nessuno è più solo.
La compagnia di un amico è un dono che si riceve, non lo si può produrre da sé, come la vita. L’unica cosa che si può fare da se stessi è cercare l’amico lì dove si è posto. Cristo si lascia trovare sulla croce, luogo di morte, per assicurare a tutti la sua amicizia. Per questo i cristiani non temono la morte né, per sentirsi al sicuro, hanno bisogno di acque magiche, né di passare attraverso procedimenti iniziatici complicati o di attendersi spettacoli stupefacenti.
Nell’Assemblea sinodale della nostra Chiesa diocesana, mentre sta prendendo sempre di più forma e consistenza la composizione dei delegati, si tratterà di come riscoprire, vivere e annunciare il dono del battesimo, così come è stato donato.
Il sacramento della nuova vita in Cristo è questione di vita e di morte. E non sono solo parole. Grazie a chi, in modi opportuni e inopportuni, ci permette di ricordare che la vita è un dono ricevuto e che essa porta dentro di sé una tensione di eternità che non teme i talloni scoperti, perché sa di trovare in ogni dove la presenza dell’amico Gesù che nell’amore per noi ha vinto ogni paura.
Don Maurizio Girolami
Segretario General

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