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Stato d’emergenza verso la proroga

La Pandemia nel mondo dilaga ancora. Materia da gestire con molta cura, ma le critiche paiono strumentali

Sulla prospettiva di una proroga dello stato d’emergenza, annunciata dal Presidente del Consiglio, si è acceso un dibattito in cui come sempre si mescolano argomenti seri e polemiche strumentali.
Sgombriamo subito il campo dagli allarmi per una presunta deriva autoritaria del premier Conte, i cui contorni risultano visibili soltanto a chi osservi la realtà con gli occhiali della propaganda e dell’ideologia.
Allarmi che diventano persino paradossali quando arrivano da ambienti politici in cui si coltivano rapporti di solidarietà internazionale con leader che alla tentazione autoritaria hanno dimostrato di non voler resistere più di tanto.
Di ben altro spessore sono le critiche – sul piano politico e giuridico – che muovono da un presupposto degno di grande attenzione. In una democrazia, quella delle procedure eccezionali è una materia da maneggiare con enorme prudenza perché quando si vanno a toccare, direttamente o indirettamente, i principi costituzionali è indispensabile rispettare i criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, nonché di puntuale delimitazione di ambiti e tempi, che le istituzioni di garanzia hanno più volte autorevolmente richiamato.
Bisogna stare molto attenti a non creare precedenti pericolosi per il futuro. Come pure è doveroso salvaguardare gli equilibri tra gli organi costituzionali, trovando il giusto raccordo tra l’esigenza di decisioni rapide da parte dell’esecutivo e il controllo non eludibile da parte del Parlamento. Che poi quest’ultimo sia spesso enfatizzato proprio da coloro che in altra sede presentano deputati e senatori come una compagnia di parassiti e nemici del popolo, è un altro paio di maniche…
Del resto, dopo una partenza non priva di sbavature per la novità obiettiva della situazione e grazie all’accompagnamento discreto quanto autorevole del Quirinale, già in questi mesi gli interventi del Governo avevano trovato un percorso sempre più appropriato, recuperando in corsa il rapporto essenziale con le Camere. Adesso che ci sono le condizioni per operare in modo meno convulso, sarebbe incomprensibile che l’eventuale proroga dello stato d’emergenza (l’attuale scade il 31 luglio) non fosse il frutto di una decisione collegiale del Consiglio dei ministri e non coinvolgesse sin dall’inizio il Parlamento.
A monte di questo dibattito, però, c’è una domanda che il principio di realtà dovrebbe imporre all’attenzione di tutti: l’emergenza legata alla pandemia è finita o no? Sembra quasi una domanda retorica, visto quel che quotidianamente ci propongono le cronache nazionali e internazionali, e considerati i danni immensi provocati da quei leader populisti che in mezzo mondo hanno negato e continuano sostanzialmente a negare l’evidenza dei fatti. Non vorremmo che, per fare un dispetto al prof. Conte, ci privassimo di strumenti utili per fronteggiare tempestivamente un pericolo attuale e potenziale. Quando in Italia è stato dichiarato per la prima volta lo stato d’emergenza era il 31 gennaio e nessuno immaginava la portata di quel che sarebbe accaduto successivamente. E’ bene ricordarlo anche ora.

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