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Perchè i ragazzi scelgono di andare volontari in Africa

Tante storie di vita come quella di "Silvia Romano". Capire le ragioni di questo esercito del bene.  Chi è abituato a operare tra le povertà assolute non metterà mai un "prima" davanti ai suoi interventi

Perchè i ragazzi scelgono di andare volontari in Africa

Perché l’Africa? Sono migliaia le presenze italiane nel Continente nero, che esprimono le energie attraverso Ong, Onlus, Missioni religiose. Le motivazioni dell’impegno sono molteplici, ma possono essere sintetizzate con i valori del volontariato e della cooperazione internazionale. Persone di ogni età, in prima linea sul versante delle povertà, mettono a disposizione competenze e passione: giovani freschi di studi, lavoratori che dedicano le ferie, pensionati che si rimettono in gioco. Le loro azioni, soprattutto dopo la vicenda tormentata di Silvia Romano, non godono di buona salute nell’opinione pubblica. Le critiche sono mosse perlopiù da ragioni ideologiche, tra l’altro contraddittorie. Da una parte, si insiste con lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, magari con la pretesa di bloccare con le urla l’ondata dei flussi migratori. In realtà, con le sole parole si vorrebbe lavare la coscienza senza far nulla di concreto. I progetti di solidarietà verso i Paesi in via di sviluppo rischiano di perdere di consistenza con l’impoverimento da coronavirus. Ognuno ha le proprie povertà. Anche l’Italia. Dall’altra parte, si gonfia sempre di più lo slogan “prima gli italiani”, guarda caso proposto in tutte le sue possibili declinazioni: prima il Nord, prima il Veneto, prima il Friuli e chi più ne ha più ne metta. Si scagliano pietre contro la solidarietà senza muovere un dito.
Statene certi: chi coltiva queste idee, che sprizzano egoismo, non fa nulla né qui né altrove. Resta impassibile di fronte a sfruttamenti di ogni genere, sofferenze e situazioni di evidente miseria. Impreca, ma al massimo sposta il mirino fino a trovare il capro espiatorio più semplice: “Governo ladro”. È vero, la complessa macchina degli aiuti umanitari ha bisogno di verifiche sulle finalità e di maggiore trasparenza. Meglio diffidare delle organizzazioni avventurose, che praticano il fai-da-te. Mai lasciare spazio all’improvvisazione. Ma dentro un alveo di sicurezza si possono fare esperienze di ogni tipo. Ognuno ci può mettere professionalità, passione e ricerca interiore. È quindi ingiusto e irrispettoso accanirsi genericamente contro “l’esercito del bene”, che lavora silenziosamente, spesso realizzando opere fondamentali in terre disastrate dalla miseria, dalle guerre, dai cambiamenti climatici, dove le istituzioni pubbliche non ci sono per chi muore di fame. Guai se non ci fossero le strutture umanitarie: il mondo sarebbe più povero, più ingiusto, più malato.
L’Africa, con le sue profonde contraddizioni e le insopportabili disuguaglianze, mette alla prova il principio di solidarietà che sta nella testa e nel cuore delle persone. L’impegno sociale in quelle terre ha alzato i livelli di umanità e di dignità, utili anche in “casa nostra”, ha elevato il grado di sensibilità. Chi è abituato a operare tra le povertà assolute non metterà mai un “prima” davanti ai suoi interventi. Si applica nell’aiuto e basta, senza chiedere: “Tu, da dove provieni? In chi credi?”. Per lui, prima viene l’uomo, con la sua dignità. Capita spesso di trovare al lavoro le stesse persone, qui e altrove, perché sono riuscite a rompere la crosta dell’indifferenza, che è la morte dell’anima. E non si tirano più indietro.

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