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La solitudine dell’anziano

Un fenomeno che non è nato in questo periodo, ma che è stato sicuramente ampliato dalla pandemia

La solitudine dell’anziano

Si parla tanto di solitudine in questo tempo di pandemia, che non l’ha creata, ma solo evidenziata.
Solitudine, ovvero la sensazione di disagio interiore data dalla mancanza di relazioni e contatti sociali gratificanti, dalla discrepanza tra i reali rapporti sociali del soggetto e la percezione fredda e distante che egli invece ha rispetto al mondo esterno.
La solitudine è una condizione e un sentimento umano nei quali l’individuo si isola o per scelta propria, per vicende personali e accidentali di vita, o perché isolato o ostracizzato dagli altri esseri umani, generando un rapporto privilegiato con se stesso, una sorta di atto di difesa che non fa altro che aggravare il malessere di partenza. La persona che vive il senso di solitudine infatti spesso si sente a disagio, prova tristezza e apatia, non vive bene e tende a chiudersi in se stessa.
E’ importante, innanzitutto, fare una distinzione tra “ il sentirsi solo” e “ lo stare da soli”. La solitudine non è sempre un male: se cercata volutamente può apportare anche dei benefici. Prendersi un momento di riflessione, isolarsi momentaneamente per cercare un distacco, in fasi particolari della vita, può aiutare a riflettere meglio.
Il sentirsi soli, invece, nasce da una condizione psicologica diversa, un malessere che il soggetto prova nei confronti di se stesso e degli altri, che può riguardare diversi ambiti, ma che in ogni caso, se non affrontato, rischia di trasformarsi in una solitudine cronica, condizione che può provocare conseguenze peggiori come la chiusura ulteriore in se stessi, la perdita dell’autostima, stati di apatia e forti disagi sino alla depressione.
Non bisogna che la solitudine diventi “sofferenza”. Bisogna cercare di uscire dalla sofferenza di una solitudine che si fa cronica, uscire da questo stato e non commettere l’errore di aggravare la condizione.
E’ un luogo comune e sbagliato identificare la solitudine con l’anziano solo, abbandonato, disperato.
Spesso l’anziano è un abbandonato, costretto, cacciato in una solitudine non sua, non voluta, ma attribuitagli da altri. Nessuno lo cerca, nessuno lo vuole perché vecchio, senza sapere e immaginare quanto vorrebbe e avrebbe da dire.
Ma se il Covid ha peggiorato la situazione negando o riducendo certi spazi ricreativi, c’è anche un “ prima del Covid”, dell’isolamento, dell’eventuale ricovero, spesso anche in un letto di terapia intensiva, della solitudine nell’abbandono a una morte “in solitaria”. Lui “ il vecchio” viene improvvisamente “ scoperto”, viene pianto da un pianto che spesso rivela anche un senso di colpa, un rimorso, una ipocrisia.
Ma “ prima” chi ha avuto tempo di ascoltare, di parlare, di “ fare compagnia”? Chi ha tempo di ascoltare esperienze e lezioni di vita, ritenute storie vecchie, senza tener conto della “memoria”, del vantaggio della conoscenza per comprendere un passato che non faccia ripetere gli errori spesso tragici.
Gli anziani, non più impegnati in attività lavorative e non avendo più un ruolo importante e riconosciuto nel lavoro o nella famiglia moderna, spesso svolgono poche e limitate attività, senza interazioni sociali significative e percepiscono un profondo senso di solitudine ed estraneità, di vuoto, quasi di peso al contesto in cui vivono. Questa condizione psicologica e fisica di isolamento ed estraneità al mondo esterno spesso è avvertita anche quando l’anziano vive in famiglia o in situazioni di convivenza, come negli istituti di ricovero. La solitudine, inoltre, può essere aggravata dalla concomitanza con altri fattori, come la perdita del coniuge, il non coinvolgimento in una attività lavorativa, la lontananza geografica e/o affettiva dei figli e famigliari.
La solitudine alle volte è una situazione da amare, da godere, quando nella notte, stesi a letto, interrompiamo la lettura di un libro o spegniamo la televisione, immersi in un grande silenzio, ci troviamo a pensare alla nostra vita di ieri, di oggi, di domani. Questa non è solitudine, ma un ritornare in compagnia, in un colloquio con chi abbiamo amato e ci ha amato. E’ un ricordare alle volte con tristezza, con nostalgia, ma anche pervasi da una dolce malinconia, da una dolce speranza, sentirsi vivi perché di nuovo in gioco nelle dinamiche sociali.
Io posso raccontarvi la mia solitudine o non solitudine da vecchio, ottantenne, marito da tre anni vedovo, padre, nonno e pediatra ancora in attività.
Ma so che la solitudine non ha età: è del bambino, dell’adolescente, del giovane, dell’adulto, non solo del vecchio, ognuno ha la sua esperienza. Ma pare che i rimedi siano sempre gli stessi: empatia, attenzione, ascolto, partecipazione, condivisione ovviamente solidali e reciproche.
Non so mai come scrivere questa frase: A) Aiutare per essere aiutati. B) Essere aiutati per aiutare o forse A+B sono compenetrate sono un tutt’uno Inscindibile.

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