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Family Act, finalmente una misura strutturale

Intervista alla Ministra per la Famiglia Elena Bonetti

Family Act, finalmente una misura strutturale

Professoressa universitaria, una lunga esperienza tra gli scout dell’Agesci, l’attuale ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti è da considerarsi a tutti gli effetti la madre del cosiddetto Family Act, varato dal consiglio dei ministri nei giorni scorsi.
Da dove nasce questo disegno di legge e con quali prospettive?
Sin dall’inizio del mio incarico è stata una delle progettualità che abbiamo dichiarato. Il Family act nasce dalla necessità di dare corpo ad una riforma integrata; per la prima volta in un unico ministero vengono accorpati la famiglia e le pari opportunità riconoscendo quindi un mandato politico chiaro. Il nostro paese sconta una situazione disastrosa rispetto alla denatalità e al calo demografico; in febbraio Istat ha certificato che il rapporto nati-morti è stato peggiore solo nel 1918. Quindi abbiamo di fronte una drammaticità evidente a cui occorre dare risposte. Le famiglie italiane rappresentano una ricchezza straordinaria, eppure non sono mai state poste al centro di una riforma davvero organica e strutturale che ne valorizzasse il ruolo e investisse sulle loro potenzialità. Strettamente collegata è la scarsa presenza delle donne nel mondo del lavoro. Sono due facce della stessa medaglia, che potremmo definire come la difficoltà di attivare processi lungimiranti e quindi investimenti sul futuro.
Ritiene possibile leggere in questa riforma un cambio di paradigma nei confronti della famiglia?
Sì, per la prima volta le famiglie non vengono percepite come somme di individui, le persone non sono categorizzate solo in base a quello che sono come lavoratori, ma si assume una necessità di responsabilità che ciascuno di noi esercita, in primo luogo nel contesto familiare che è il luogo in cui questa responsabilità diventa generativa, cioè capace di prendersi cura, di produrre valore, di creare comunità-relazione, capace di prossimità… quello che hanno dimostrato di saper fare le famiglie in questo periodo. Ed è la prima volta che le famiglie vengono riconosciute come soggetto contributivo in se stesso, a cui viene attribuito un valore sociale.
Quale portata avranno nell’economia del Paese tutti gli interventi previsti da questo disegno di legge?
Il Family act sarà anche una misura di semplificazione, è il primo pilastro che inseriamo nell’ambito della riforma fiscale; quindi gli attuali sostegni che oggi non tutti percepiscono, come gli assegni per i nuclei familiari e le detrazioni per i figli a carico - da cui i più poveri sono esclusi non avendo detrazioni - vengono ridistribuiti in un’ottica di universalità, ma vanno poi incrementati: vogliamo che alla fine di questo percorso tutte le famiglie italiane abbiano un segno più nelle entrate per i loro figli. Ma è un investimento e come tale produrrà valore economico. Perché agevolando il lavoro femminile avremo, secondo i dati, un aumento del pil. Così come le aziende che hanno adottato forme di armonizzazione fra la vita familiare e la vita lavorativa certificano un aumento della produttività e una diminuzione dell’assenteismo. Quindi è una riforma che non solo prende risorse, ma le rimette in gioco per la colletività.
Data la sua universalità, sarebbe sbagliato considerare l’assegno universale come un reddito di cittadinanza per i bambini italiani?
Non è assolutamente questo l’approccio. È invece il riconoscere che una famiglia che accoglie l’esperienza della genitorialità, quindi che cresce, educa e accoglie un bambino e un giovane sta investendo per la comunità in umanità. A questo investimento noi riconosciamo il valore di contribuzione e quindi in qualche modo glielo restituiamo.
C’è già un’idea della portata di questo assegno universale?
No, si erano fatte delle simulazioni, ma si tratta di una misura che andrà ad integrarsi con la riforma fiscale che sarà per le famiglie un elemento di semplificazione. In ogni caso la cifra effettiva non potrà essere inferiore a quella che le famiglie otterrebbero oggi senza l’assegno. Anche il modo di erogazione dovrà integrarsi con la riforma fiscale e allo stesso tempo andare a sostenere i nuclei familiari incapienti; non potrà avere la forma dell’assegno perché l’assegno è solo per i dipendenti e non tiene conto degli autonomi, quindi è chiaro che dovrà considerare la varietà delle situazioni lavorative e di reddito.
Ci sono paesi occidentali a cui avete guardato per realizzare questo disegno di legge?
Abbiamo studiato le politiche familiari di alcuni paesi europeri, penso in modo particolare alla Francia e alla Germania. Il modello francese è interessante perché utilizza la fiscalità come incentivo alle politiche demografiche; oltre a logiche premianti, ad esempio per il terzo figlio, ha adottato politiche di strutturazione di servizi per le famiglie, non solo educativi ma anche nel campo degli aiuti domestici. Il Family act ha però caratteri di unicità perché è un progetto integrato di riforme che comprende lavoro femminile, congedi, protagonismo giovanile, educazione... Questa visione unitaria integrata, che è tipica della nostra sensibilità e della nostra cultura, rappresenterà un modello anche a livello internazionale.
Tempi per l’entrata in vigore di queste misure?
Già nella legge di bilancio 2020 abbiamo costituito un fondo dedicato a queste misure che sarà attivo da gennaio 2021. Spero che entro l’estate possa essere approvato il disegno di legge delega, procedendo poi in autunno con i decreti attuativi, per dare dal 2021 la risposta all’impegno che ci siamo assunti verso le famiglie italiane.
Questo disegno di legge è un po’ il cavallo di battaglia di Italia Viva?
È una proposta lanciata nel giorno in cui è nata Italia Viva e con cui ci siamo presentati in questo governo. Ma l’approvazione del Family act da parte del governo non è una vittoria di Italia Viva, ma di tutto il Paese.

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