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Coronaviurus e bambini: serve un’assunzione di responsabilità collettiva

La pandemia ha evidenziato povertà socioeducative che già conoscevamo

Coronaviurus e bambini: serve un’assunzione di responsabilità collettiva

Si è scritto, si scrive e si scriverà molto su bambini-adolescenti e coronavirus.
Se la dimensione strettamente sanitaria è stata una novità, la dimensione socio-sanitaria e territoriale ha solo evidenziato e rimarcato problemi antecedenti alla prolungata chiusura delle scuole, spesso non sufficientemente valutati.
Sapevamo e ora sappiamo ancor di più della povertà educativa, della povertà economica e delle disuguaglianze, che si alimentano a vicenda. E’ una condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto dell’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali ed educative al diritto al gioco (non ho da mangiare adeguatamente, non ho un computer, non ho un luogo adatto a fare i compiti, non ho genitori disponibili). Rivediamo e rileggiamo il Manifesto “Riscriviamo il futuro” di Save the Children (che come sostenitore ho sottoscritto) e il Protocollo di intesa tra Ministero della Salute, Società Italiana di Pediatria ( SIP) e Save the Children.
“(…) non esiste più una dimensione strettamente sanitaria del nostro lavoro (ndr “pediatra”) , ma socio-sanitaria e territoriale, caso per caso, che ci deve vedere da subito protagonisti con ragionevolezza e con impegno concreto.” ( News box Medicoebambino Aprile 2020, F. Marchetti, C. Guiducci). E’ difficile dare un senso concreto, tradurre nella pratica e nella operatività questo giusto invito - consiglio -suggerimento. Partiamo dall’ambulatorio e dall’incontro col bambino e i genitori, che avviene poco dopo la nascita e proseguirà al bisogno e con i “controlli di salute”. C’è sufficiente “ascolto”? Si interroga e si fa emergere il contesto socio-sanitario e territoriale (dove, con chi e come vive)? Se sì, cosa possiamo fare? Esistono percorsi, linee guida che ci indirizzino a seconda del problema a servizi o strutture che se ne facciano carico? E se sì, riusciamo poi a mantenere i contatti? Gli psicologi e i pedagoghi entrano nelle scuole, i pediatri “no”. Ricordate “il medico scolastico”? Io, ora vecchio, se pur ospedaliero a tempo pieno l’ho fatto per anni in orario di lavoro. Quante volte i pediatri vengono contattati e messi al corrente della situazione? Chi fa educazione sanitaria (come, quando e dove)? Ci dovrebbe essere una responsabilità collettiva di tutte le componenti interessate. Ognuno deve fare la sua parte ma poi ci deve essere un coro che si fa dirigere dalle necessità del bambino. C’è molto da fare con grande impegno soprattutto delle prime linee: Sanità (pediatra), Scuola (insegnanti), Famiglia (genitori).
Ci deve essere una assunzione di responsabilità collettiva, un interesse comune, una finalità comune, una priorità per il Governo, il Parlamento, le Regioni e gli Enti locali, chiamati ad affrontare una sfida storica, spinti ora dalla necessità e dal considerare finalmente il concetto di salute definita dall’OMS, non più semplice assenza di malattia, ma “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”.
Sicuramente non essendoci stato un prima, chiaro e organizzato, né un durante, non ci sarà neanche un dopo, perché con le riaperture, doverose, delle scuole, ci saranno delle difficoltà e non sarà facile affrontarle e risolverle, ma è fatto obbligo darsi da fare e raccogliere le sfide per il bene dei bambini, considerato come un diritto e cercare di far seguire alle chiacchiere i fatti.

* Pediatra

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