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Le donne nella Grande guerra

Gli uomini al fronte, le donne si reinventano lavoratrici, operaie e contadine. Ma anche al fronte, portatrici di generi di prima necessità.

Parole chiave: Grande Guerra (4), Storia (8), Donne (49)
Le donne nella Grande guerra

  e donne nella Grande Guerra hanno svolto un ruolo che è stato parzialmente studiato solo in questi ultimi decenni. Nessuna di loro ha vissuto il conflitto direttamente o è stata nei campi di battaglia o nelle trincee - dove tanti soldati perirono o subirono traumi - ma una grande quantità soffrì lutti per i propri cari scomparsi e tutte patirono sofferenze  per le privazioni e il duro lavoro.
Abbastanza nota la preziosa attività delle quasi diecimila crocerossine impegnate nel conflitto: 41 hanno perso la vita, 180 furono decorate al Valor Militare e 313 ottennero la Croce al merito di guerra.
Poco documentata invece l’attività delle quasi 10 mila volontarie impegnate nella sanità e nell’assistenza, a iniziare dall’operato delle suore, con tante belle storie di coraggio e di fede.
Prezioso l’apporto delle Suore della Carità, nei loro diversi ordini: oltre 700 ancelle furono coinvolte nell’assistenza sanitaria ai feriti, alcune con il Sovrano Ordine Militare di Malta (SMOM).
Le Suore della Provvidenza di san Luigi Scrosoppi prestarono un servizio improntato sulla carità cristiana. Nel 1915 la loro casa generalizia si trovava a Cormons e le suore svolsero la loro opera in quell’ospedale e in quello di Gorizia - quindi in territorio austriaco - ma loro consorelle sono presenti negli ospedali militari di Udine, di Casarsa della Delizia e nel vicino lazzaretto, e in quello di Portogruaro, ubicato nei locali del Seminario.
Più noti, specie ai friulani, il coraggio e la generosità delle oltre duemila "portatrici carniche", le "donne soldato armate solo di gerla e coraggio": risposero alla richiesta dell’esercito di portare giornalmente, a oltre diecimila soldati, viveri, medicinali, vestiario, munizioni, ecc., raggiungendo zone impervie, prive di ogni collegamento, anche di mulattiere e teleferiche. Dovevano essere accettate dall’età di 12 anni, ma non sempre il limite fu osservato impegnando anche elementi più giovani; percepivano 1,5 centesimi al viaggio e in discesa portavano rocce e pietrisco per realizzare sentieri e strade.
Le donne affiancarono o sostituirono gli uomini nelle fabbriche e svolsero lavori tradizionalmente maschili, oppure lavorarono quali dattilografe, telegrafiste, cuoche, braccianti agricole, conduttrici di tram e negli uffici della posta militare. Ebbero un’inedita esperienza nel settore pubblico, quali macchiniste, poliziotte e altro.
Pur in buona parte impreparate, dovettero assumersi la responsabilità delle famiglie, condurre i fondi agricoli - privati di 2,6 milioni di agricoltori - o mettersi a capo di piccole e medie aziende, con l’ unico apporto di familiari anziani e giovanissimi.
Numerose quante, oltre al lavoro e alla famiglia, si impegnavano nelle attività di beneficenza e assistenza o in organizzazioni volontarie di soccorso e cura di feriti, ammalati e convalescenti.
Furono straordinariamente efficienti: negli anni 1915-18 la produzione agricola nazionale non scese mai sotto il 90% rispetto agli anni precedenti, escluso il 1918 nei 308 comuni occupati, dove i furti iniziavano già al momento della semina, con l’asportazione dei pezzetti di patate e grani di mais prelevati furtivamente, lavati e ingeriti di nascosto dagli austro-ungarici affamati. I vari comandi di tappa assegnarono allora, per ogni frazione del territorio, un gendarme per la vigilanza e un "caporale di agricoltura" quale consigliere per le culture.
Nel 1918 il nostro territorio diocesano fu fra i più angariati, a causa del grande numero di occupanti e di profughi del Piave e per le direttive dell’alto comando austriaco che prevedeva un’ipotetica linea d’armistizio sul Tagliamento: veniva punito con severità qualsiasi atto contro la popolazione della sinistra del fiume, mentre era tollerato  tutto quanto avveniva da noi.
Le donne sono impiegate anche nelle lavorazioni legate alla produzione di materiale bellico nelle fabbriche o nella confezione di indumenti per l’esercito -  in laboratori improvvisati o nelle proprie abitazioni - compresi ben 300 milioni di sacchetti destinati ad essere riempiti di sabbia per la protezione di trincee, depositi, luoghi strategici.
Sempre le donne fanno sorgere asili per i bambini poveri, producono i primi scalda rancio con rotoli di carta in grado di infiammarsi e riscaldare il cibo dei soldati, fanno sorgere le "Leghe femminili per limitare i consumi" (diffondono ricette culinarie supereconomiche), inventano un corredo antiparassitario a base di canfora e naftalina, ecc.
Ammirevole la loro opera di assistenza morale a sostegno dei soldati al fronte; le più benestanti e istruite diventano "madrine di guerra": inviano lettere con parole di incoraggiamento, libri, oggetti sacri e modesti pacchi dono.
Un bel passo in avanti sulla via dell’emancipazione, potremmo dire, ma a conflitto concluso non c’erano più posti per impiegate, operaie e contadine e si parlò di un miraggio: le donne dovranno attendere il decreto legislativo del 1946 per ottenere il diritto di voto.
Tuttavia non si ritornò alla situazione prebellica: la guerra non aveva portato soltanto grandi cambiamenti nel loro modo di vestire e nelle acconciature dei capelli, ma aveva dato loro una nuova dimensione nella società.
Gianni Strasiotto

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